Francesco Fascetti, 39 anni, fa il chirurgo estetico e suo fratello, Alberto, ha uno studio legale con altri soci. Dal 2009 vivono entrambi in Australia. "Non torneremo più nella forza lavoro del nostro paese, è più probabile che lo faremo da pensionati in vacanza”
Quando si parla di numero chiuso in Italia spesso si pensa al test di Medicina e alla facilità con la quale i suoi laureati possono trovare lavoro. Ma non sempre è così. Non lo è stato per Francesco Fascetti, 39enne romano che dopo la laurea in Medicina e Chirurgia a Pavia ha dovuto affrontare un altro ostacolo, quello della specializzazione: “Ho cercato di entrare ad Ortopedia – ricorda –. Sono arrivato sesto in graduatoria ma prendevano solo i primi quattro. Eravamo a un punto e mezzo di distanza”. E nel frattempo, oltre a studiare, per mantenersi passava le notti facendo la guardia medica e lavorando di giorno in uno studio privato. “Io non sono figlio di – spiega – e questo mi ha portato ad accumulare gradualmente risentimento non solo verso l’Italia. Anche per l’Europa, dove questa professione è ancora estremamente di élite”. Il suono della sua voce ha un sapore amaro. Al suo fianco c’è il fratello Alberto, avvocato. Entrambi vivono a Sydney, in Australia, a migliaia di chilometri da casa.
“Siamo tutti e due figli dell’Erasmus – dice Alberto, 34 anni e una laurea in Giurisprudenza sempre a Pavia –. Durante quel periodo mi sono diviso tra Granada e Madrid mentre Francesco è andato a Saragozza: un’esperienza che ti apre la mente, che tu lo voglia o meno”. Ed è proprio lui che terminati gli studi prende una decisione: “Dovevo trovare il meglio per me stesso, sotto ogni punto di vista, non solo lavorativo – dichiara –. L’Italia non mi poteva offrire questa possibilità, non è servito neanche provarci per capirlo”. E così inizia la sua ricerca. “Volevo una città in ascesa, in un paese che ancora potesse offrire opportunità per gli intraprendenti e serenità per costruire un futuro”. Nel 2008 il dito sul mappamondo si è fermato ai piedi delle Blue Mountains, dove però ha dovuto ricominciare da capo: tre anni di giurisprudenza, sei mesi per il praticantato e due anni in uno studio legale. “Se non ci si vuole accontentare non bisogna rimanere immobili – afferma –. Saper perseverare con l’obiettivo di migliorare la propria vita porta sempre a delle soddisfazioni”.
“Lui – indicando Francesco – ha imparato che oltre al bisturi esiste il cucchiaio da gelataio”, scherza. Gli anni difficili sembrano essere alle spalle. Quando Francesco raggiunse il fratello nel 2009 aveva già provato con gli Stati Uniti: “Tre mesi in Colorado sono bastati a farmi rendere conto che la mentalità americana non fa per me – dichiara –. Dopo aver respirato l’aria di Sydney capii cosa avrei dovuto fare”. Il suo era uno dei lavori richiesti dal governo australiano. Un requisito che, però, non è stato sufficiente.
“In Australia l’esame di abilitazione medica non è comparabile con il nostro – sottolinea –. In Italia ci ho messo un mese, qui quasi tre anni”. E durante l’attesa fa un po’ tutto: il gelataio, il personal trainer, lavora anche in una scuola calcio sponsorizzata dal Milan. “Dopo l’abilitazione sono riuscito ad avere un contratto gratuito per un anno come observer di chirurgia in un ospedale – racconta – e lo scorso anno ho trovato lavoro come chirurgo estetico in una clinica privata”. Anche in Australia, però, l’accesso alla specialità non è semplice: “Ci vogliono anni e non volevo più fare ricominciare da capo – afferma –. Ma qui ti danno la possibilità di provare. Possono anche dirti di no, però non ti ridono in faccia come da noi in Italia”.
“Questo paese ha i suoi alti e bassi, certo – sottolinea Alberto, che ora ha uno studio legale con altri soci –, e fino a quando non hai il visto permanente ti senti un estraneo. Ma sono le qualifiche che fanno la differenza: ho visto molti ragazzi andare via per questo”. Le maglie dell’immigrazione si sono strette, anche per i lavori ultraspecializzati. E e lui ne sa qualcosa dato che il suo studio FastVisa è specializzato nella consulenza legale per i visti. “A chi vuole venire in Australia dico che non bastano i sorrisi e la buona volontà – continua l’avvocato –. Oggi ci vogliono anche le qualifiche, soprattutto nel privato”. E l’Italia? “Vediamo che la situazione non è migliorata da quando siamo partiti – rispondono – C’è poca voglia di mettersi in gioco e il sistema è ancora gestito dall’alto. Non torneremo più nella forza lavoro del nostro paese, è più probabile che lo faremo da pensionati in vacanza”.