Un nuovo fremito dell’universo. A 130 milioni di anni luce di distanza dal sistema solare, in direzione della costellazione dell’Idra, in corrispondenza della galassia Ngc 4993. Il segnale gravitazionale, denominato GW170817, è stato registrato il 17 agosto alle 14:41 ora italiana
Ancora una prima volta per la ricerca sulle onde gravitazionali. A poco più di dieci giorni dall’assegnazione del Nobel per la Fisica 2017 per la storica scoperta di queste increspature dello spazio-tempo predette da Albert Einstein più di un secolo fa, arriva dalla comunità scientifica internazionale l’annuncio di una nuova scoperta. Un nuovo fremito dell’universo. A 130 milioni di anni luce di distanza dal sistema solare, in direzione della costellazione dell’Idra, in corrispondenza della galassia Ngc 4993. Il segnale gravitazionale, denominato GW170817, è stato registrato il 17 agosto alle 14:41 ora italiana. A generarlo, stavolta, non è stata la collisione di una coppia di buchi neri danzanti, ma una nuova sorgente cosmica. Che ha emesso in tandem sia onde gravitazionali che tradizionali segnali luminosi, osservati da un network di telescopi spaziali e terrestri. A scuotere la trama dello spazio-tempo la danza vorticosa di una coppia di stelle molto massicce, dieci volte più del Sole, le stelle di neutroni. Resti di immani esplosioni galattiche, questi oggetti celesti sono residui di stelle che, una volta esaurito il combustibile nucleare, sono giunte alla fine del proprio ciclo vitale. Sono tra gli oggetti più densi dell’universo. Talmente densi che un cucchiaio di materia di questi astri è come se sopportasse il peso di un’intera montagna terrestre.
A dare l’annuncio della prima osservazione diretta di una nuova sorgente di onde gravitazionali, una conferenza stampa internazionale organizzata congiuntamente a Washington presso la National science foundation (Nsf) dalla collaborazione scientifica Ligo-Virgo, a Monaco dallo European southern observatory (Eso), e a Venezia dalla European space agency (Esa). Importante il contributo italiano con l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e l’Agenzia spaziale italiana (Asi). I risultati di Ligo-Virgo sono stati pubblicati nella rivista Physical review letters (Prl), mentre molti altri articoli sia delle collaborazioni Ligo e Virgo che della comunità astronomica legata ai telescopi spaziali, come Integral, Fermi, Swift e Agile sono stati presentati o accettati per la pubblicazione in varie riviste, e vedono protagonisti moltissimi ricercatori italiani, alcuni dei quali come primi autori. Due articoli su Nature hanno come primi autori scienziati dell’Inaf.
“Un modo completamente nuovo di cercare risposte alle nostre domande sull’universo. È questo il significato della scoperta che oggi celebriamo – afferma Fernando Ferroni, presidente dell’Infn -. Un risultato che ci fa gioire. Come donne e uomini di scienza, perché avere a disposizione nuovi strumenti di indagine è bello quanto avere nuovi interrogativi cui dare risposta. E come persone, perché – aggiunge Ferroni – questo traguardo è stato conquistato grazie all’impegno congiunto di migliaia di noi”. “Un grande successo per il Paese e un grande successo per il nostro ente – sottolinea il presidente dell’Inaf Nichi D’Amico -. La presenza autorevole delle nostre ricercatrici e dei nostri ricercatori nel torrente di articoli che straripano oggi nelle più prestigiose riviste scientifiche internazionali è per noi motivo di grande soddisfazione e orgoglio”. “È una giornata storica per la scienza e si apre una nuova era per la ricerca spaziale – il commento a caldo del presidente dell’Asi Roberto Battiston -. Da anni attendevamo la nascita dell’astronomia multi-messaggero che sfrutta i vari tipi di radiazione che raggiungono la terra dagli angoli più remoti dell’universo”.
Il sospetto che qualcosa di rilevante e inedito agitasse la comunità internazionale di fisici e astrofisici aleggiava già da settimane. Gli occhi di una settantina di telescopi terrestri e dei principali telescopi spaziali, Fermi, Integral, Swift, Chandra e Hubble, già da metà agosto erano, infatti, stati puntati in direzione di un medesimo spicchio di cielo, la galassia Ngc 4993. L’obiettivo era dare la caccia ai segnali luminosi che potessero accompagnare il viaggio di un nuovo respiro del cosmo, sotto forma di onde gravitazionali, captato dalla collaborazione Ligo-Virgo. Anche in precedenza il segnale che per la prima volta sulla Terra erano stati uditi questi sussurri dell’universo aveva messo in allerta i telescopi dislocati sulla Terra e nello spazio. Ma i loro sofisticati occhi erano rimasti al buio. A emettere le prime onde gravitazionali ascoltate dall’uomo erano stati, infatti, oggetti cosmici invisibili, per definizione, alla radiazione luminosa: coppie di buchi neri danzanti.
Stavolta, invece, un diverso scenario si è presentato agli occhi degli scienziati. Complice l’entrata in funzione di Virgo – il sensibile apparato sperimentale che fa capo a Ego (l’European gravitational observatory), realizzato nella campagna pisana di Càscina dall’Infn e dal Consiglio nazionale delle ricerche francese (Cnrs) per ascoltare i bisbigli dell’universo -, è stato possibile circoscrivere meglio la regione di cosmo di provenienza dell’onda gravitazionale. E questo ha facilitato il lavoro dei telescopi. Che, a differenza del passato, hanno osservato anche un segnale luminoso in viaggio tra le pieghe del tessuto spazio-temporale increspate dalle onde gravitazionali. Segno che a scatenare questo cataclisma cosmico non poteva essere stata la fusione tra buchi neri, ma una sorgente di natura differente: una collisione tra stelle di neutroni. Fenomeno quest’ultimo accompagnato dall’emissione, in tandem, di onde gravitazionali e di un abbagliante lampo di raggi gamma. Si tratta dell’ultimo vagito di queste stelle, di un’esplosione tra le più energetiche e luminose del cosmo, osservato inizialmente a metà agosto dal satellite Fermi della Nasa e Integral dell’Esa. Nei giorni e nelle settimane successive allo scontro cosmico è stata individuata l’emissione di onde elettromagnetiche in altre lunghezze d’onda, tra cui raggi X, ultravioletti, luce visibile, infrarossi e onde radio. Il risultato ha, inoltre, permesso di scoprire che durante la fusione di stelle di neutroni si formano elementi chimici pesanti, come oro e platino.
Simulazione della collisione tra due stelle di neutroni. Crediti: Goddard space flight center/Nasa
Immagine Collaborazione LIGO-VIRGO