In questi giorni si è parlato spesso dell’uscita degli alunni da scuola. Dopo la sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato un istituto per la morte di uno studente investito dallo scuolabus, i dirigenti scolastici sono corsi al riparo chiedendo a mamme e papà di venire a prendere i figli, se minori di 14 anni, al suono della campanella. I burocrati del sistema d’istruzione hanno preso carta e penna e obbligato i genitori a venire a ritirare i pargoli anche se abitano a 200 metri dalla scuola, anche se risiedono in un paesino di campagna dove non corrono alcun pericolo.
Per anni e anni abbiamo parlato di piedibus, dell’importanza di rendere autonomi e responsabili i nostri ragazzi. Poi all’improvviso i presidi difensori della sicurezza (propria) hanno estratto persino il codice penale dal cassetto, citato articoli e sentenze per evitare qualsiasi problema. Risultato? Ha perso la scuola
e hanno vinto la paura e la burocrazia. Fin da quando esiste la scuola, i bambini di otto o nove anni, soprattutto quelli che abitavano in piccole realtà, andavano e venivano da casa da soli.
A otto anni, con la mia prima bicicletta uscivo da casa, percorrevo via 4 novembre, via Cittadella, via Conti, fino ad arrivare alla pizza e incontrare altri compagni arrivati da altre parti del paese in bici. Penso che il codice penale esistesse anche negli anni Ottanta.
I miei alunni arrivano a scuola a nove o dieci anni con il loro skateboard. Abitano tutti o quasi a meno di 500 metri dalla scuola in un paese di meno di duemila anime.
Da sempre esiste la probabilità che un bambino finisca sotto un’auto, che possa scivolare, farsi male durante il tragitto casa-scuola. Ma è una probabilità non una certezza.
Ancora una volta, invece, la scuola ha perso il suo ruolo educativo in nome della vigilanza, della sicurezza. La preoccupazione dei dirigenti scolastici non è stata quella di incrementare i corsi di educazione stradale o di fare una riflessione sull’importanza dell’autonomia, della responsabilità del ragazzo. Nessuno ha fatto distinzione tra un piccolo paese e una grande metropoli, tra il borgo di montagna e la capitale. Hanno vinto la burocrazia, le circolari che non guardano mai in faccia nessuno.
Le vicende di questi giorni mi hanno ricordato una canzone di Nicolò Fabi, Ha perso la città.
https://www.youtube.com/watch?v=rbtKkMHcFxI
Ecco, ha perso la scuola, ha perso il sogno. Ha perso davvero anche la comunità. Quella che a Caponago, per esempio, ha deciso di lanciare il progetto “Negozio amico” ovvero una rete di negozi che si impegnano ad aiutare in caso di bisogno i bambini che vanno a scuola da soli. Non ci resta che opporci ai dirigenti burocrati con progetti come quello di Caponago perché non ci serve una scuola che educhi alla paura. Non abbiamo bisogno di creare un esercito di marionette guidato dal grande burattinaio che tira le corde e le muove dove e come vuole. Alla scuola non servono burocrati ma educatori, a partire dai dirigenti.