La parità tra lavoratrici e lavoratori? Fa bene alle aziende e al business. Ecco perché parte anche in Italia la certificazione di genere per le aziende. Un “bollino” che esiste già in molti paesi europei, con l’inserimento della parità retributiva tra uomini e donne tra le priorità della Strategia Europea 2020: sancirà quali aziende sono “attrezzate” contro le discriminazioni di genere.
L’arrivo delle prime certificazioni è previsto per metà del 2018. “Entro la fine dell’anno vorremmo cominciare i primi approcci a partire dalla pre-audit, che non viene resa pubblica e permette all’azienda di prendere coscienza su dove si trova in termini di parità di genere e di decidere se entrare nel processo di certificazione”, spiega a ilfatto.it Paola Corna Pellegrini, amministratore delegato di Allianz Worldwide Partners e presidente del comitato scientifico voluto da Winning Women Institute, l’associazione ideatrice della certificazione. Il processo “può durare un semestre: serve un lavoro approfondito”. I dati saranno rilevati dalla RIA Grant Thornton e il bollino vale due anni, con un “check” intermedio, e viene comunicato al mercato da Winning Women Institute. “Più donne al lavoro vuol dire più consumi”, dice l’ad. E più donne nelle posizioni di vertice “vuol dire migliori risultati”. “Non perché siano necessariamente più brave – talvolta sì – ma perché il giusto equilibrio di genere è ottimale affinché l’azienda venga condotta nel modo migliore in termini di business e profitto”.
Che all’Italia serva una svolta lo dicono i numeri. Quelli del 2016 del Global Gender Gap Index del World economic forum parlano di un paese slittato dal 41esimo al 50esimo posto per l’indicatore generale in una graduatoria di 144 paesi. Il divario è causato soprattutto dalle opportunità economiche – 117esimo posto – e dalla “retribuzione a parità di ruolo”: siamo 127esimi. Le donne “accedono poco al mercato del lavoro e poco ci rimangono, soprattutto quando fanno figli”, sospira Paola Corna Pellegrini. Tanto che, per fare carriera, scelgono di non mettere su famiglia: “Il 50% delle donne dirigenti non fa figli”. “Bisogna lavorare su una presenza delle donne al lavoro e nelle posizioni di leadership”, ragiona. La legge sulle quote rosa, “che pure non amo ma che è stata necessaria per dare una svolta, è temporanea e riguarda solo i consigli d’amministrazione, non il top management”.
La certificazione, “una piccola rivoluzione”, si basa su quattro pilastri. Primo: l’opportunità di crescita nell’azienda, misurata con la percentuale di donne nei vari livelli dell’organizzazione. Secondo: l’equità remunerativa. “L’equità non c’è”, chiosa la presidente del Comitato scientifico. “E, se c’è, esiste solo all’inizio”. I numeri? Secondo JobPricing, in Italia gli uomini percepiscono in media una retribuzione annua lorda di 30.676 euro. Le donne 27.228. “Eppure hanno voti più alti, sono più ambiziose e focalizzate”, lamenta la numero uno di Allianz. “Il divario dipende dalle aziende: si sceglie di investire su un uomo e non su una donna. A cui – con la prima e ancor più con la seconda maternità – resta un senso di frustrazione che la porta ad abbandonare lavoro o carriera”. Paola lavora da 35 anni. “Noi donne pensiamo che lavorare bene e portare risultati monitorabili sia sufficiente. Non lo è. Bisogna non avere paura e diventare brave a negoziare: io stessa sono arrivata molto tardi a chiedere il primo aumento di stipendio”.
Il terzo punto da affrontare per la certificazione è costituito dalle politiche per la gestione della gender diversity, la “pari rappresentanza di candidati maschi e femmine, ad esempio, soprattutto per posizioni manageriali”. Ma anche politiche lgbt e l’aiutare le donne al rientro dalla maternità. “Con un coaching, magari. Facciamo coaching soprattutto agli uomini che devono ‘accogliere’ la donna che rientra al lavoro: perché, ricordiamoci, gli uomini sono ancora al 90% dei vertici delle aziende”. Il quarto aspetto, infine, riguarda la percezione interna: aspetti culturali e organizzativi.
Del comitato scientifico fanno parte anche aziende come Sanofi e Microsoft. “Partiremo da noi, per metterci in gioco”, dice Corna Pellegrini. “Chissà se prenderemo tutti la certificazione”, sorride. “Molte realtà hanno già comportamenti virtuosi in termini di pari opportunità”. Anche la top manager di Allianz ha visto la discriminazione quando è diventata mamma. “Ma sono tenace. E sono stata anche fortunata: ho incontrato capi – e cape – illuminate. E questo no, non si può certificare”.