Per la prima volta in Italia un’azienda di “food delivery” viene portata in tribunale dai suoi lavoratori. Sei ex rider, o meglio fattorini, di Foodora hanno fatto causa all’azienda tedesca che, dopo le proteste avvenute a Torino un anno fa, ha deciso di “sloggarli” dalla applicazione con la quale ricevevano gli ordini delle consegne. Di fatto, sostengono loro, un licenziamento. Per questo stamattina di fronte al giudice Marco Buzano, presidente della sezione di lavoro del tribunale di Torino, si sono presentati cinque dei sei fattorini accompagnati dagli avvocati Giulia Druetta e Sergio Bonetto. Dall’altra parte, invece, c’era il responsabile legale dell’azienda, l’amministratore delegato Gianluca Cocco, insieme ai suoi difensori Ornella Girgenti e Giovanni Realmonte che, al termine dell’udienza, hanno preferito non rilasciare spiegazioni e dichiarazioni ai giornalisti.
“Ci siamo rivolti al giudice per riottenere il lavoro che abbiamo perduto a ottobre un anno fa – spiega uno dei rider che vuole rimanere anonimo -. Vorremmo che ci fosse riconosciuta una retribuzione di base, perché questo è un lavoro subordinato”. In sostanza il contratto firmato con Foodora prevedeva che il loro fosse lavoro autonomo, come quello di un libero professionista. Nei fatti, affermano gli ex fattorini, era lavoro subordinato: “Noi ricevevamo degli ordini precisi da eseguire senza possibilità di scelta”. Per questo sostengono che l’essere stati sloggati dalla app, senza avere la possibilità di ottenere degli ordini per le consegne di cibo a domicilio, sia pari a un licenziamento. Un licenziamento che reputano ingiusto, perché arrivato dopo le proteste che hanno animato le strade di Torino un anno fa contro le condizioni di lavoro: all’inizio ricevevano una paga di 5,70 euro l’ora, poi il nuovo contratto ha introdotto il cottimo, col pagamento di 2,70 euro a consegna, un incentivo a correre di più e quindi a rischiare maggiormente, senza avere una copertura assicurativa per i danni a terzi. E poi gli strumenti imprescindibili del lavoro, smartphone e biciclette (e riparazioni), erano a carico dei rider. Dopo queste proteste, a febbraio l’azienda ha “sloggato” dall’applicazione quindici dei fattorini che avevano partecipato alle proteste.
“È necessaria una regolamentazione di questo settore”, prosegue un altro rider poco dopo l’udienza. La loro non sarà una causa semplice. Si tratta di una nuova forma di lavoro, poco regolata e non ci sono casi simili. Inoltre, nel settore della giustizia civile, spetta ai rider e ai loro avvocati dimostrare il rapporto di subordinazione che per la Cassazione è quello in cui si riconosce il potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore del lavoro. “È una causa originale, ma anche concreta – spiega l’avvocato Bonetto -. I lavoratori si muovevano sulla base degli ordini che arrivavano per via elettronica, ordini che riguardavano il come, il dove, il quando, con che velocità pedalare… tutto indotto dai telefonini che dovevano mettere loro, così come le biciclette e le gambe per pedalare”. Il presidente Buzano, poi, dovrà decidere anche su altre accuse mosse contro Foodora, quella di violare le norme antinfortunistiche, le norme sulla privacy e quelle che vietano i controlli a distanza dei lavoratori.