Aveva detto di essere orientato a rinunciare alla prescrizione, poi però ci ha ripensato e ha incassato la dichiarazione di non luogo a procedere per abuso d’ufficio. Succede ed è successo nell’aula della IV sezione penale del Tribunale di Milano dove si celebra il processo all’ex vicepresidente della Regione Lombardia e consigliere regionale di Forza Italia Mario Mantovani, che venne arrestato nell’ottobre del 2015 e che è imputato a Milano assieme ad altre persone, tra cui l’assessore lombardo all’Economia Massimo Garavaglia.
Nella scorsa udienza Mantovani accusato di corruzione, concussione e turbativa d’asta, aveva spiegato che era “orientato” a rinunciare alla prescrizione per ottenere il proscioglimento nel merito, anche se avrebbe dovuto valutare bene con i suoi legali cosa fare. “Come annunciato settimana scorsa – ha chiarito oggi in una dichiarazione Mantovani – nonostante la mia propensione a valutare l’atto di estinzione del reato, ho accondisceso all’invito dei miei avvocati che con fermezza mi hanno rammentato il significato di questo istituto giuridico, previsto proprio dallo Stato italiano a tutela dei diritti dei cittadini ad un giusto processo, in tempi ragionevoli, secondo il dettame dell’articolo 111 della Costituzione. E purtroppo – ha aggiunto – come sappiamo, i tempi della giustizia italiana ad oggi non garantiscono la necessaria serenità”. Una scelta suggerita probabilmente anche dall’ultimo guaio giudiziario del consigliere che risulta indagato nell’inchiesta che ha portato ai domiciliari il sindaco di Seregno.
L’ipotesi di abuso d’ufficio, che si è prescritta ai primi di ottobre, vedeva imputato Mantovani, assieme ad altre tre persone, in qualità di sindaco all’epoca del Comune di Arconate (Milano) per fatti del 2010 e relativi ad un “immobile settecentesco denominato Palazzo Taverna“. Storia raccontata dal fattoquotidiano.it: la vicenda inizia addirittura nel 1987, quando Mantovani riveste il ruolo di assessore all’Urbanistica in una giunta democristiana. Il Comune vorrebbe comprare lo stabile, peraltro al vantaggioso prezzo di 150 milioni di vecchie lire. Secondo una relazione della Guardia di finanza, finita poi nel fascicolo del pm Giovanni Polizzi, “le indagini hanno permesso di accertare che fu Mantovani a far sfumare l’accordo relativo all’acquisto dello stabile, onde poi acquistarlo per mezzo di una società intestata ad un prestanome, Le Ginestre Srl”. Già all’epoca la vicenda genera scandalo e, per la prima volta nella storia, la Democrazia Cristiana perde le elezioni comunali. La nuova amministrazione di sinistra avvia l’esproprio di palazzo Taverna ma tra lungaggini e ricorsi si arriva al 2001, quando Mantovani diventa sindaco. Che temporeggia facendo “lievitare (fino al 2010, ndr) gli interessi concernenti l’occupazione dell’edificio (nel frattempo il Comune conclude i lavori e insedia una biblioteca nel palazzo, pur essendo ancora aperta la controversia giudiziaria, ndr) versati dal Comune alla proprietà”, cioè alle società Le Ginestre Srl e Spem Srl, ovvero a se stesso. In questo modo avrebbe procurato un ingente danno ai cittadini di Arconate, calcolabile in 400-500 mila euro.
Mantovani ha preso “atto dell’intervenuta estinzione del reato” che “è per me motivo di profondo rammarico, essendo trascorsi 4 anni di indagini, tra cui 6 mesi tra carcere ed arresti domiciliari”. Mantovani si domanda “perché la Procura non abbia per esempio deciso di approfondire fin da subito detto capo di imputazione, non consentendo al Tribunale di compiere le necessarie valutazioni. Peraltro – ha proseguito – io sono certo della mia innocenza”. E conclude di aver “già dato mandato ai miei avvocati di procedere in sede civile e penale per il ristabilimento della verità e dell’onorabilità della mia persona”. Vale la pena ricordare che rinunciando alla prescrizione al termine del dibattimento Mantovani avrebbe potuto incassare una dichiarazione di non colpevolezza: infatti, per legge, se i giudici avessero evidenziato la carenza o l’assenza di prove nei suoi confronti avrebbero dovuto emettere sentenza di assoluzione.