In mezza Italia è emergenza smog. Nel Paese europeo dove più persone muoiono ogni anno a causa delle polveri sottili disperse nell’aria (66mila), i blocchi del traffico per gli sforamenti dei livelli massimi di inquinamento atmosferico sono scattati prima ancora di accendere i termosifoni. Colpa del clima secco, senza precipitazioni che disperdono gli inquinanti, ma alla base c’è la mancanza di misure strutturali che porta la situazione a ripetersi sempre uguale, più volte all’anno. Carenze per le quali la Commissione Europea ha già avviato nei confronti dell’Italia due procedure di infrazione per la cattiva qualità dell’aria e la prospettiva è che Bruxelles, visto anche quest’ultimo allarme appena all’inizio dell’autunno, non ci farà sconti. Ma nonostante il richiamo politico e gli sforamenti già fuori norma a primavera (la legge ammette non più di 35 superamenti dei livelli massimi di inquinamento), poco si è fatto in questi mesi. Al G7 Ambiente a Bologna, lo scorso giugno, il ministero dell’Ambiente ha firmato un accordo con quattro Regioni del bacino padano, stanziando anche 16 milioni di euro, ma le nuove misure per gestire il problema smog in modo coordinato saranno in vigore solo tra un anno, dal 1° ottobre 2018, e sugli impegni presi nel documento le istituzioni sono ancora piuttosto indietro.

Il primo colpevole ad essere additato è il cambiamento climatico. Nei primi dieci giorni di ottobre, spiegano da Coldiretti, a livello nazionale rispetto alla media è caduto “il 79 per cento in meno di pioggia, con una punta del meno 92 per cento al Nord dove in molti territori è stata addirittura del tutto assente”. In molti casi, infatti, la salvezza delle città asfissiate dagli inquinanti atmosferici è la pioggia, che “lava l’aria” e porta così a terra gli inquinanti altrimenti in sospensione, ad altezza di naso e polmoni. Quest’anno, invece, la siccità asseta la terra in campagna e fa soffocare le città.

Le cause alla base del problema smog, però, sono altre e riguardano le fonti di emissione di quell’inquinamento. A partire appunto dai trasporti. Se è vero che negli ultimi anni, con il rinnovo del parco auto, sulle strade è diminuito il numero dei veicoli più inquinanti (fino almeno agli Euro 3), a mancare sono ancora misure strutturali. Piste ciclabili, piani di potenziamento del trasporto pubblico, misure per favorire la diffusione di veicoli a basso impatto ambientale, come le auto elettriche. E poi c’è l’inazione delle istituzioni di fronte al problema: “Un panorama non esaltante, che – salvo qualche lodevole eccezione – si divide tra ‘ignavia’, ‘ritardatari’ e ‘tutto chiacchiere e distintivo’”, denuncia Legambiente in un rapporto di metà ottobre sul tema. Gli sforamenti di questi ultimi giorni, infatti, non solo erano praticamente certi guardando anche solo le previsioni meteo, ma sono gli ennesimi dopo una primavera nera, in cui molti centri urbani avevano già oltrepassato i limiti di legge: “Ora si cerca di ricorrere ai ripari dato che in questi mesi sono stati messi in atto pochi interventi concreti nonostante, già da marzo, città come Torino, Alessandria, Asti, Milano, Bergamo, Brescia, Cremona, Venezia, Padova e Vicenza – solo per citarne alcune – abbiano ampiamente sforato i 35 giorni di mal’aria – senza alcuna azione efficace da parte di chi avrebbe dovuto programmare e mettere in campo interventi concreti per superare una volta per tutte il problema ed evitare di arrivare già al prossimo inverno con lo stesso problema”. A questo si sommano i ritardi delle Regioni nel dare seguito all’accordo firmato a giugno scorso con il ministero dell’Ambiente per fare fronte comune sul tema della qualità dell’aria: la Regione Veneto non ha ancora approvato la delibera stagionale di misure antinquinamento a cui seguono poi le ordinanze dei sindaci per le singole città, mentre dal Piemonte il via libera dovrebbe arrivare solo oggi, 19 ottobre. E intanto la Lombardia e il Veneto al momento hanno anche ammorbidito i limiti di circolazione per i veicoli Euro 3.

Bruxelles ci osserva con la dovuta distanza, senza ulteriori commenti al momento. Sulla testa dell’Italia pendono due procedure di infrazione per lo sforamento dei limiti di polveri sottili e biossido di azoto, entrambi causati principalmente dal traffico automobilistico. Ad aprile la Commissione ha lanciato all’Italia “un ultimo avvertimento”, esortando il nostro Paese “ad adottare azioni appropriate contro l’emissione di PM10 al fine di garantire una buona qualità dell’aria e salvaguardare la salute pubblica, dal momento che tale paese non è ancora riuscito a risolvere il problema dei livelli persistentemente elevati di polveri sottili, che rappresentano un grave rischio per la salute pubblica”. Una minaccia che si aggiunge a obiettivi più stringenti di miglioramento della qualità dell’aria al 2020 e al 2030, introdotti dall’Europa a fine 2016: gli Stati membri dovranno recepire la direttiva entro il 2018, ma se qualcosa non cambia per l’Italia significherà stato di infrazione permanente.

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