Ha suscitato molto clamore che, in occasione della visita di Papa Francesco a Bologna, la celebre Basilica di San Petronio sia diventata una sala da pranzo dove Bergoglio ha condiviso il pasto con centinaia di poveri, rifugiati e detenuti. Due di questi ultimi hanno perfino utilizzato l’occasione per evadere. C’è chi ha bollato il pranzo nella Basilica addirittura come una “desacralizzazione” del luogo di culto dimenticando che Gesù nei Vangeli scaccia i mercanti dal tempio, ma non certo i poveri.
Al di là delle polemiche, è indubbio che i gesti di Francesco spesso suscitano un ampio dibattito e a volte spaccano perfino i credenti. Mimmo Muolo, vaticanista e vicecapo della redazione romana del quotidiano della Cei Avvenire, ha voluto analizzare efficacemente questo fenomeno mettendolo anche a confronto con i diretti predecessori di Bergoglio. Il risultato di questa inedita inchiesta è raccolto nel volume L’enciclica dei gesti di Papa Francesco, edito da Paoline, che, partendo proprio da quella che Muolo definisce “la quotidianità desacralizzata” di Bergoglio, ripercorre le opere di carità e misericordia del Pontefice fino ai suoi segni pastorali in senso classico e a quelli inerenti l’ambito della comunicazione.
“Gli analisti di cose vaticane – scrive il vaticanista – coniano spesso slogan ed etichette per inquadrare le diverse figure ecclesiastiche. Anche i Papi, naturalmente, non sfuggono a questa catalogazione e in tal modo, da qualche parte, è nato un aforisma che dice più o meno così: ‘Giovanni Paolo II era un Papa da guardare, Benedetto XVI un Papa da ascoltare, Francesco un Papa da incontrare’”. Di un’enciclica dei gesti si era già parlato e scritto in abbondanza durante il pontificato di Karol Wojtyla, ma i suoi erano dei segni forti che scuotevano un mondo ancora diviso tra Est e Ovest e in piena Guerra fredda.
Quelli di Bergoglio oggi sono gesti di tenerezza, di prossimità verso gli scartati, i lontani, i feriti anche dalla Chiesa. In questa direzione bisogna leggere, per esempio, la sua apertura, seppure caso per caso, alla comunione per i divorziati risposati e il suo interrogarsi sulla corrispondenza reale tra la dottrina cattolica su matrimonio e sessualità e la prassi dei credenti.
Così come l’aver chiesto al Sinodo dei vescovi che si terrà nell’ottobre 2018 di riflettere sul rapporto tra i giovani e la fede. O, per essere ancora più espliciti, su quanto la Chiesa sia lontano dai ragazzi di oggi e su quali passi concreti possa compiere per ridurre questa frattura. Una frattura efficacemente sanata da san Giovanni Paolo II con la geniale intuizione delle Giornate Mondiali della Gioventù, ma che ha bisogno di essere per così dire risolta nella pastorale feriale al di là dei grandi raduni internazionali.
Muolo non ha dubbi che proprio la “normalità” di Bergoglio lo rende un Papa più autorevole. “Durante la visita a Milano, il 25 marzo 2017, – ricorda il giornalista – Francesco è entrato, tra la sorpresa generale, in uno dei bagni chimici posti a disposizione di tutti dagli organizzatori. Ma per paradossale che questo possa sembrare, la sua parola diventa in tal mondo più ascoltata, più vera, più vicina, proprio perché vive come tutti gli altri, ne capisce i problemi e dunque non parla ex cathedra, ma come un compagno di strada. Più saggio e rassicurante, certo, ma non come uno che ti giudica e ti mette in difficoltà”.
Non ci si può non soffermare, infine, sul potenziale comunicativo globale di Francesco. Un Pontefice che su Twitter ha da poco superato i 40 milioni di follower e su Instagram si attesta su 5 milioni di seguaci. “Naturalmente – precisa Muolo – c’è anche il rovescio della medaglia. E non certo per colpa del Papa Non di rado, infatti, il suo modo di esprimersi, la forza icastica di alcune frasi, qualche metafora ‘ardita’, ha finito creare qualche problema”. Problemi che i suoi critici, più dentro che fuori la Chiesa, hanno subito cavalcato nella speranza di disarcionare un Pontefice che, proprio con i suoi gesti, ha stigmatizzato agli occhi del mondo quei cardinali e vescovi che ipocritamente vivono da faraoni.