“Non litigate, se volevo veder litigare restavo a Roma al Pd”dice Matteo Renzi agli operatori e ai fotografi che lo seguono lungo il percorso del treno dem. Il segretario democratico vuole esorcizzare l’effetto delle ricostruzioni che esondano dai giornali e che smentiscono la sua versione di ieri: “Il governo non era semplicemente informato: era d’accordo”. E invece viene fuori – lo scrive il Fatto – che il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è stato informato 3 ore prima del voto, che la ministra Anna Finocchiaro ha lavorato per ore per riformulare la mozione che era peggio di com’è stata votata, che in una chat i parlamentari del Pd, soprattutto gli orlandiani, non si davano pace.
Dalla mischia si toglie lo stesso capo del governo: “Il rapporto tra Governo e partito di maggioranza relativa – dice uscendo al vertice Ue Gentiloni – sono fondamentali e ottimi in generale, poi (su Bankitalia, ndr) decidiamo avendo in mente quell’obiettivo lì (l’autonomia, ndr), non è una decisione di buona creanza, l’autonomia è rilevante perché è importante in sé per i mercati, deve stare a cuore alle autorità di governo, in modo particolare perché abbiamo alle spalle le difficoltà del nostro sistema bancario”. Sulle soluzioni per Bankitalia “non parlo neanche sotto tortura né un tanto al chilo, è un compito rilevante che spetta in parte al Governo, c’è una procedura che investe diverse istituzioni, il Governo prenderà le sue decisioni nel rispetto dell’autonomia della banca. Non facciamo indiscrezioni o cose di questo genere”. Parole subito rilanciate dallo stesso Renzi, che per il terzo giorno consecutivo rilancia la sua posizione: “Mi sembra evidente, la questione mi sembra ormai chiarita e che tutti si possano fare una opinione. Retwitto quello che ha detto il presidente del Consiglio Gentiloni sui rapporti tra il Pd e governo: sono ottimi. Lo sottoscrivo e lo condivido totalmente”. E il futuro di Bankitalia? Nel merito nessuno di noi mette in discussione l’autonomia e indipendenza della Banca e lasciamo la decisione sul governatore al governo. Ma continuiamo a dire che siamo dalla parte dei risparmiatori”.
Di certo le parole dell’ex premier hanno un destino più che anomalo. Da una parte si allineano con il pensiero di tutti i partiti leader italiani, anche se ciascuno ha le sue riserve. Dall’altra vengono messe nel mirino da tutti i principali componenti di governo, attuali ed ex. Dopo Walter Veltroni, Giorgio Napolitano e Romano Prodi, oggi è il turno del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda che già nei giorni scorsi aveva evitato di commentare “per carità di patria”. Calenda, intervistato a RepubblicaTv, ora aggiunge: “Innanzitutto questo è un incidente, prima rientra meglio è per il Paese”. Per Calenda dietro alla mozione “non c’è una strategia, ma si è sottovalutato cosa si stava facendo e la sede dove lo si faceva. Se ci fosse stata una strategia sarebbe un errore gravissimo”. Calenda ha anche detto “penso che sia stata una leggerezza non ci sia stato il disegno di indebolire il governo”. Parole di circostanza, apparentemente per non arrivare a uno strappo definitivo: “Se si vuole esprimere un giudizio – continua il ministro – il segretario del Pd ha tutto il diritto di farlo, e se lo vuole fare preservando la forza e l’autonomia dell’istituzione magari lo fa nelle sedi opportune essendo ancora il leader della maggioranza”. Eppure il presidente del Pd Matteo Orfini riaccende la miccia: “Il Parlamento che esprime una valutazione non è “un incidente”. È democrazia” twitta.
Il Parlamento che esprime una valutazione non è “un incidente”. È democrazia.
— orfini (@orfini) 20 ottobre 2017
Intanto però il caos tra Pd, Camera e governo prodotto dalla mozione voluta da Matteo Renzi e firmata da una deputata di riferimento, Silvia Fregolent, potrebbe finire in un dibattito alla Camera, richiesto dal capogruppo di Sinistra Italiana Giulio Marcon alla presidente Laura Boldrini. Marcon, che firma la lettera con il deputato Giovanni Paglia, evidenza esprime “viva preoccupazione” per le “pressioni derivanti da ambienti-extra parlamentari”. Una richiesta alla quale si aggiunge anche Mdp. Secondo Arturo Scotto ha “il dovere di venire in Parlamento a spiegare cosa sta accadendo nel Governo. Il Paese non può assistere a questo spettacolo indecente senza che ci sia un chiarimento pubblico e non un chiacchiericcio raccontato dal buco della serratura”.
Ma, come detto, con sfumature, riserve e distinguo anche dai toni acidissimi, nessuna delle forze politiche avversarie del Pd dà torto a Renzi nel merito. Dimostrazione della “strategia” di Renzi che ha sollevato proprio ora la questione della nomina del successore di Ignazio Visco dopo anni di silenzio, soprattutto nei due anni e 10 mesi passati a capo del governo. Una linea che risulta scoperta, come sottolinea un ragionamento dell’ex presidente del Consiglio e ministro del Bilancio Lamberto Dini in un’intervista alla Stampa: “Fare la copia sbiadita dei Cinquestelle – dice Dini – non porterà un voto in più, anzi. I suoi elettori si aspettano comportamenti diversi. È stata decisa l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta – spiega quindi -. Se davvero si volevano approfondire le eventuali responsabilità dell’istituzione, avrebbero potuto audire Visco per tempo. Invece Renzi ha deciso di uscire allo scoperto fuori tempo massimo, quando ormai la procedura per la riconferma stava iniziando”. Questo dimostrerebbe, secondo Dini, “che a differenza di quel che afferma, l’obiettivo di Renzi era Visco, al quale non perdona le conseguenze dello scandalo a Banca Etruria. Un siluro a lui e al presidente del Consiglio. Una mossa scellerata, inaudita“.
Gli dà ragione, per esempio, Silvio Berlusconi: “Ho denunciato l’antico vizio della sinistra per l’occupazione dei posti e ribadito, allo stesso tempo, che è comprensibile la volontà di controllo su quello che è successo in questi anni – ribadisce il leader di Forza Italia – Tutto questo ho detto anche per invocare il rispetto delle regole, che qualcuno ha disinvoltamente dimenticato o addirittura violato. Nessun ‘asse con Renzi’, come qualche giornale ha maliziosamente insinuato”. Gli dà ragione anche Matteo Salvini: su Visco, dice, “ha ragione Renzi perché non ha vigilato. Ma domando a lui dove era quando succedeva tutto quello che è successo. Dovrebbero fare un passo indietro tutti e due. Visco per quanto mi riguarda ha fallito perché era pagato per controllare e non lo ha fatto. Sicuramente a livello di governo hanno fallito altrettanto”.
E i primi a rivendicare la linea anti-Visco e pro-risparmiatori sono stati i Cinquestelle: “Pensare – dice ironico il senatore Enrico Cappelletti, un padovano misurato nei toni e nel ragionamento – che quando tentai di far calendarizzare, qui in Senato, il nostro testo a prima firma Vito Crimi sullo stesso argomento, il capogruppo dem Zanda mi rispose, ineffabile, che non se ne parlava proprio e che piuttosto c’erano da discutere due mozioni fondamentali sul foie gras e sui sentieri devozionali”. Il M5s, aggiunge Cappelletti, “rimane impegnato a difendere il risparmio e si schiera senza esitazione dalla parte delle centinaia di migliaia di cittadini truffati che hanno visto distruggere i loro risparmi nei crac bancari, anche a seguito dei controlli inefficaci delle autorità di vigilanza”.