di Vittorio Daniele*
Più di tante statistiche, il numero di partecipanti a due recenti concorsi è indicativo della condizione occupazionale di molti giovani laureati italiani. Un concorso per assistenti giudiziari, la cui preselezione si è svolta nel 2017, ha ricevuto circa 308mila domande. Sebbene si richiedesse solo il diploma, oltre la metà dei partecipanti erano laureati; il 70 per cento proveniva dalle regioni del Sud, sei su dieci erano donne. Un altro concorso, per 30 posti di vice assistente presso la Banca d’Italia, ha avuto 85mila partecipanti. Anche in tal caso si richiedeva il diploma, ma l’enorme numero di domande (2.830 per ogni posto) ha fatto sì che la Banca ammettesse poco più di ottomila candidati con laurea magistrale.
Poi ci sono le statistiche. In Italia, il tasso di disoccupazione nella fascia tra i 25-34 anni sfiora il 17 per cento. Nelle regioni meridionali, nella stessa fascia d’età, il 27 per cento dei laureati e il 25,6 per cento dei diplomati è alla ricerca di un impiego. Ma non c’è solo la disoccupazione. Per misurare l’effettivo sottoutilizzo del lavoro, alla disoccupazione andrebbe aggiunta la sottoccupazione. Sottoccupati sono, per esempio, i lavoratori a tempo parziale “involontari” e, più in generale, quelli disponibili a lavorare per un numero di ore maggiore di quelle che, invece, svolgono. Statisticamente, è occupato chi, in una settimana, abbia lavorato almeno un’ora. Ma davvero può dirsi tale chi lavori per un’ora a settimana?
Soprattutto al Sud, è frequente il caso di laureati con impieghi precari o a bassa qualificazione (operatori di call center o commessi), se non in nero. Non è difficile immaginare la condizione di frustrazione di quei trentenni (e delle loro famiglie) che non vedono ripagati i costi e i sacrifici sostenuti per ottenere una laurea. L’emigrazione ne è, almeno in parte, un riflesso: solo nel 2015, quasi 23mila laureati hanno lasciato l’Italia.
Disoccupazione, sottoccupazione e emigrazione sono, per l’economia, uno spreco di capitale umano. Non offrendo opportunità ai giovani qualificati, dopo averne sostenuto i costi della formazione, il Paese dissipa preziose risorse, ponendo un’ipoteca sul futuro. Quando potranno, i giovani laureati di oggi, entrare nel mercato del lavoro? Quando raggiungeranno un reddito sufficiente per costruirsi una vita autonoma e una famiglia? Questa generazione dai bassi redditi percepirà, in futuro, basse pensioni e ciò, inevitabilmente, deprimerà i consumi con effetti negativi sulla crescita economica complessiva.
In Italia, la mobilità sociale è rallentata se non, addirittura, arrestata. Le disuguaglianze tra generazioni aumentate. In passato, raggiunta l’età adulta, i figli avevano, generalmente, un tenore di vita più alto di quello dei loro padri. Oggi sono spesso padri e nonni a mantenere figli e nipoti ormai adulti. Finito il tempo delle aspettative crescenti, con l’aumentare della precarietà e dell’incertezza lavorativa, le aspettative sono divenute decrescenti.
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*Università Magna Graecia di Catanzaro