Nel Salento si gioisce: dopo due anni di divieto, ora si potrà tornare a piantare ulivi. Il Comitato fitosanitario permanente, riunitosi il 18 e 19 ottobre a Bruxelles, ha approvato l’ok alla modifica della decisione europea del 2015 relativa alla gestione delle aree infettate dal batterio Xylella fastidiosa, una delle cause del disseccamento rapido. È una buona notizia che, però, ha il suo rovescio: il rischio di speculazione è concreto, con i prezzi schizzati alle stelle già da mesi per le due cultivar che sarà possibile coltivare, Leccino e Favolosa, ritenute “resistenti” al patogeno da quarantena.
Si è partiti, nel 2013, con un mantra: abbattere tutti gli ulivi infetti. Nel Leccese, l’idea è stata abbandonata quasi subito: la situazione era già fin troppo compromessa e dunque era necessario cambiare paradigma, “imparare a convivere con la malattia”. Le proteste popolari, i ricorsi al Tar Lazio e l’inchiesta della Procura di Lecce hanno bloccato la gran parte degli espianti coatti, nel nord Salento. La linea Maginot della zona in cui è necessario sradicare gli alberi si è spostata via via più in là, per provare a bloccare, se mai sarà possibile, l’avanzata di Xylella verso il Barese. Non è un caso che dalla chance del reimpianto sia rimasta esclusa la fascia di 20 chilometri nel nord della provincia di Brindisi.
L’attesa era tanta per la decisione europea: a fine settembre, il voto sul punto era slittato, tra la delusione generale. L’Italia ora porta a casa anche la deroga all’abbattimento delle piante monumentali sane che si trovano nel raggio di cento metri da un albero infetto, a patto che vengano protette dalla cicalina che trasmette il batterio e siano ispezionate periodicamente. Inoltre, i vivai potranno tornare a vendere tre varietà di vite risultate non suscettibili di infezione e finora bloccate, vale a dire Negramaro, Primitivo e Cabernet Souvignon. È stato stabilito, poi, il rafforzamento delle ispezioni nei siti di produzione europei in cui si coltivano sei specie, tra cui olivo, oleandro e mandorlo, identificate come ad alto rischio a causa dell’elevata sensibilità al batterio. “Ora dobbiamo ripartire, guardando al futuro dell’olivicoltura e dell’agricoltura salentina”, ha detto il ministro alle Politiche agricole Maurizio Martina.
Non è stato facile, finora, resistere al gesto che in Puglia è tra i più innati: piantare ulivi. E in effetti in molti quel divieto non lo hanno rispettato, rivolgendosi al mercato nero e a vivai di fuori provincia, poiché quelli leccesi sono da quattro anni sotto stretta sorveglianza. Ora la partita sarà complessa. Perché i rischi sono più di uno. In primo luogo, continuare a mantenere il patrimonio olivicolo millenario locale non sarà semplice: cure specifiche e continue da un lato e incertezza sulla riuscita degli innesti dall’altro potrebbero spianare la strada alla scelta di sostituzione con esemplari giovani. “E nel furore di oggi – dice Pantaleo Piccino, a capo di Coldiretti Lecce – non vorrei si perdesse di vista l’obiettivo primario, cioè salvare gli ulivi monumentali di questa terra, di varietà Cellina o Ogliarola”.
Poi, c’è il nodo speculazione: i vivai salentini da tempo non producono Leccino e il canale di approvvigionamento è nel Barese e in Toscana. Per la specie Favolosa, nata in laboratorio, invece, si dovrà aspettare la scadenza del brevetto del Cnr, tra un paio d’anni, per la liberalizzazione. Nel frattempo, continua ad essere prodotta solo da tre vivai, a Terlizzi (Puglia), Randazzo (Sicilia) e a Perugia. Per la logica di spartizione del mercato, i salentini, però, possono acquistare solo dal secondo. Ad aprile, all’indomani della pubblicazione dello studio scientifico che ha dimostrato la maggiore resistenza a Xylella da parte di Favolosa rispetto al Leccino, si è arrivati a rincari fino al 200 per cento. “E’ una fase delicata, da dover governare”, ribadiscono da Coldiretti. E il problema da porsi sarà anche un altro: il Piano di sviluppo rurale della Regione Puglia sdoganerà fra poco 30 milioni di euro di contributi destinati ai reimpianti nel Salento. Ma sono soldi a cui potranno accedere solo le aziende agricole. Il resto, soprattutto famiglie e proprietari di piccoli appezzamenti, benché possessori della gran parte del paesaggio, resteranno tagliati fuori.