Al lupo! Al lupo! La giunta della Regione Veneto, guidata dal leghista Luca Zaia, ha deciso di lanciare una crociata europea per ottenere che al canide non venga più riconosciuto lo status di specie in via di estinzione. Per farlo, l’assessore all’agricoltura, caccia e pesca, Giuseppe Pan, è salito fino al Parlamento di Bruxelles assieme a rappresentanti regionali di Cia, Coldiretti e Confagricoltura, dove ha incontrato l’europarlamentare del Ppe Herbert Dorfmann. Ma nei giorni precedenti aveva inviato un dossier ai vertici europei, dal presidente del Parlamento Antonio Tajani, al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, al Commissario all’Ambiente Karmenu Vella. La richiesta è quella di modificare il riconoscimento di “specie protetta”, alla luce delle caratteristiche del territorio in cui il lupo è insediato.
Non è un caso che la richiesta abbia come ambasciatore l’assessore che si occupa di agricoltura e caccia. Il lupo è diventato troppo numeroso, sulle montagne venete, secondo questa teoria, pertanto costituisce una minaccia per allevatori e agricoltori, che si vedono falcidiare il bestiame dalle aggressioni del carnivoro.
Roba da far rabbrividire gli ambientalisti, che da mesi combattono un vigoroso corpo a corpo con le autorità di Venezia, che già a luglio avevano annunciato alcuni provvedimenti chock. Un piano anti-lupi aveva “quantificato in 14-16 esemplari stabili, distribuiti in due branchi (quello ‘storico’ della Lessinia e quello di più recente insediamento di Asiago) e due coppie (sul massiccio del Grappa e in Valbelluna), al netto delle nuove cucciolate del 2017”. E prevedeva un “intervento forte, di natura straordinaria”, attraverso la cattura e la riduzione in cattività dei lupi.
La Regione aveva dovuto incassare il sarcasmo dell’Ente Nazione della Protezione Animale: “Siamo davvero compiaciuti nell’apprendere che una regione estesa su oltre 38mila chilometri quadrati è tenuta sotto scacco da ben 14, massimo 16 lupi. Il piano proposto non è solo illegittimo, perché prevede la possibilità di derogare a norme nazionali – quelle sulla particolare tutela del lupo con norme regionali sotto-ordinate, ma denota anche il populismo, se non la malafede politica, dei suoi sostenitori”.
Sono trascorsi tre mesi e il balletto dei numeri è cominciato. Prima quelli del danno che avrebbero subito gli agricoltori. “Nel nostro territorio il lupo non è affatto una specie in via di estinzione: nel giro di cinque anni gli esemplari monitorati in Veneto sono saliti da 2 a 38. Nel corso dei primi nove mesi del 2017 si sono resi responsabili dell’uccisione o del ferimento grave di 258 capi d’allevamento, tra bovini, ovini e asini”. Ecco che in pochi mesi il numero è più che raddoppiato, probabilmente tenendo conto delle cucciolate che nel frattempo sono cresciute.
Tra un mese si terrà il Comitato delle Regioni che discuterà di un piano di azione europeo per natura ed economia. Il dossier del Veneto punta a ottenere deroghe che consentano di ridurre il numero dei lupi. “Abbiamo censito presenza e attività dei branchi in Lessinia, sul Baldo, sull’altopiano di Asiago, sul Grappa, sul Col Visentin, sul Nevegal, sul Col di Lana, in Alpago – ha detto l’assessore Pan – E con quei dati abbiamo chiesto un supplemento di riflessione ai componenti della Commissione europea per le politiche agricole che vedono nelle attività agricole montane e nell’attività di pascolo un presidio primario per le ‘terre alte’”.
Il lupo è presente nelle province di Vicenza, Verona, Belluno e Treviso. Dala Regione è partito anche una richiesta ai prefetti in cui si chiede l’intervento del governo per una “situazione di emergenza, che richiede provvedimenti straordinari”.
Ambiente & Veleni
Veneto, la Regione contro i lupi: “Sono troppi. L’Europa non li protegga: non sono più in via d’estinzione”
La richiesta ufficiale è stata presentata dall'assessore all'agricoltura, caccia e pesca, Giuseppe Pan, a Bruxelles assieme a rappresentanti regionali di Cia, Coldiretti e Confagricoltura, dove ha incontrato l'europarlamentare del Ppe Herbert Dorfmann. Allarme ambientalisti: "Istituzioni tenute sotto scacco da 14, massimo 16, esemplari"
Al lupo! Al lupo! La giunta della Regione Veneto, guidata dal leghista Luca Zaia, ha deciso di lanciare una crociata europea per ottenere che al canide non venga più riconosciuto lo status di specie in via di estinzione. Per farlo, l’assessore all’agricoltura, caccia e pesca, Giuseppe Pan, è salito fino al Parlamento di Bruxelles assieme a rappresentanti regionali di Cia, Coldiretti e Confagricoltura, dove ha incontrato l’europarlamentare del Ppe Herbert Dorfmann. Ma nei giorni precedenti aveva inviato un dossier ai vertici europei, dal presidente del Parlamento Antonio Tajani, al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, al Commissario all’Ambiente Karmenu Vella. La richiesta è quella di modificare il riconoscimento di “specie protetta”, alla luce delle caratteristiche del territorio in cui il lupo è insediato.
Non è un caso che la richiesta abbia come ambasciatore l’assessore che si occupa di agricoltura e caccia. Il lupo è diventato troppo numeroso, sulle montagne venete, secondo questa teoria, pertanto costituisce una minaccia per allevatori e agricoltori, che si vedono falcidiare il bestiame dalle aggressioni del carnivoro.
Roba da far rabbrividire gli ambientalisti, che da mesi combattono un vigoroso corpo a corpo con le autorità di Venezia, che già a luglio avevano annunciato alcuni provvedimenti chock. Un piano anti-lupi aveva “quantificato in 14-16 esemplari stabili, distribuiti in due branchi (quello ‘storico’ della Lessinia e quello di più recente insediamento di Asiago) e due coppie (sul massiccio del Grappa e in Valbelluna), al netto delle nuove cucciolate del 2017”. E prevedeva un “intervento forte, di natura straordinaria”, attraverso la cattura e la riduzione in cattività dei lupi.
La Regione aveva dovuto incassare il sarcasmo dell’Ente Nazione della Protezione Animale: “Siamo davvero compiaciuti nell’apprendere che una regione estesa su oltre 38mila chilometri quadrati è tenuta sotto scacco da ben 14, massimo 16 lupi. Il piano proposto non è solo illegittimo, perché prevede la possibilità di derogare a norme nazionali – quelle sulla particolare tutela del lupo con norme regionali sotto-ordinate, ma denota anche il populismo, se non la malafede politica, dei suoi sostenitori”.
Sono trascorsi tre mesi e il balletto dei numeri è cominciato. Prima quelli del danno che avrebbero subito gli agricoltori. “Nel nostro territorio il lupo non è affatto una specie in via di estinzione: nel giro di cinque anni gli esemplari monitorati in Veneto sono saliti da 2 a 38. Nel corso dei primi nove mesi del 2017 si sono resi responsabili dell’uccisione o del ferimento grave di 258 capi d’allevamento, tra bovini, ovini e asini”. Ecco che in pochi mesi il numero è più che raddoppiato, probabilmente tenendo conto delle cucciolate che nel frattempo sono cresciute.
Tra un mese si terrà il Comitato delle Regioni che discuterà di un piano di azione europeo per natura ed economia. Il dossier del Veneto punta a ottenere deroghe che consentano di ridurre il numero dei lupi. “Abbiamo censito presenza e attività dei branchi in Lessinia, sul Baldo, sull’altopiano di Asiago, sul Grappa, sul Col Visentin, sul Nevegal, sul Col di Lana, in Alpago – ha detto l’assessore Pan – E con quei dati abbiamo chiesto un supplemento di riflessione ai componenti della Commissione europea per le politiche agricole che vedono nelle attività agricole montane e nell’attività di pascolo un presidio primario per le ‘terre alte’”.
Il lupo è presente nelle province di Vicenza, Verona, Belluno e Treviso. Dala Regione è partito anche una richiesta ai prefetti in cui si chiede l’intervento del governo per una “situazione di emergenza, che richiede provvedimenti straordinari”.
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Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.