Mondo

Europa, l’avanzata dei movimenti populisti: hanno già spostato a destra le politiche dei partiti tradizionali

Il 26% conquistato dall'Fpö di Heinz Christian Strache è l'ultimo di una lunga catena di exploit dei movimenti nazional-populisti. Nessuna vera vittoria, se si esclude il voto sulla Brexit, ma gli euroscettici continuano a inanellare ottimi risultati. L'ultimo caso è quello di Vienna, che con l'elezione del popolare Sebastian Kurz allo schieramento dei Paesi guidati dalla Germania di Angela Merkel ha preferito il cammino eurodiffidente tracciato da Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia

Il 13% di Alternative für Deutschland (AfD) alle ultime elezioni federali tedesche e il 26% conquistato dall’Fpö di Heinz Christian Strache nelle legislative in Austria sono gli ultimi di una lunga catena di exploit dei movimenti nazional-populisti che ha spostato l’asse politica dell’Ue sempre più a destra. Nessuna vera vittoria, per il momento, se si esclude il voto sulla Brexit, ma i vecchi e nuovi movimenti euroscettici continuano a inanellare ottimi risultati. L’ultimo caso è quello di Vienna, che con l’elezione del popolare Sebastian Kurz allo schieramento dei Paesi guidati dalla Germania di Angela Merkel ha preferito il cammino eurodiffidente tracciato da Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, il cosiddetto “Asse di Visegrad”: “I partiti di ultradestra stanno riuscendo a spostare le politiche dei partiti tradizionali sul loro campo lavorando sulla pancia dell’elettorato”, spiega Andrea Mammone, docente di Storia dell’Europa Contemporanea alla Royal Holloway di Londra.

Austria, vincono i Popolari “contaminati” dalle politiche dell’estrema destra
Alle presidenziali di dicembre 2016, l’Austria aveva rischiato di diventare il primo avamposto populista in Europa occidentale, con il candidato del Partito della Libertà, Norbert Hofer, che al ballottaggio con il verde, Alexander Van der Bellen, è uscito sconfitto per una manciata di voti. Rafforzati, poi, dagli esiti del voto tedesco, i nazionalisti avrebbero potuto cavalcare l’onda dell’entusiasmo e scavalcare il giovanissimo candidato dei popolari. Alla fine, come da previsioni, ha vinto il golden boy Kurz ma il Freiheitliche Partei Österreichs ha raccolto il 26% delle preferenze, +5,5% sul 2013, solo 5 punti meno del vincitore e a meno di un punto dai socialdemocratici del Spoe, diventando la prima scelta del neocancelliere per un’alleanza di governo. Un risultato frutto di una strategia che ha portato Kurz ad abbandonare la Grosse Koalition con i socialdemocratici e a virare il timone del partito molto più a destra, puntando sulle politiche anti-immigrazione e di stampo islamofobo che tanto successo avevano regalato all’avversario Hofer neanche un anno prima. Svecchiamento dell’immagine del partito, presenza sui social e retorica nazional-populista tipico delle nuove destre europee: ecco la ricetta vincente di Kurz, la stessa utilizzata da Marine Le Pen con il Front National, prima, e Frauke Petry con AfD, poi.

Il nazionalismo torna a farsi largo in Germania. “Merkel tradita dal suo stesso partito”
In Germania, invece, ciò che più sorprende e rende importante il risultato di AfD è che l’exploit di un partito nazionalista sia avvenuto proprio nel Paese in cui il nazionalismo era diventato un tabù mai infranto dopo la caduta del Terzo Reich. “In Germania, prima di Alternative für Deutschland, era praticamente impossibile parlare di nazionalismo – continua Mammone – poi è arrivata Frauke Petry, ha ripulito il partito e lo ha sdoganato, lanciando un movimento inizialmente incentrato sull’euroscetticismo che, presto, ha introdotto tematiche anti-immigrazione e anti-Islam”. Per poi mandare in Parlamento un parterre di 94 deputati infarcito di negazionisti dell’Olocausto ed ex collaboratori della Stasi.

La più forte economia dell’Unione teatro del boom dell’euroscettico AfD. “Questo aspetto è preoccupante – continua Mammone – la Germania, soprattutto quella dell’Est dove l’AfD ha ottenuto una media del 20%, con punte del 27%, ha in effetti dei problemi nella redistribuzione della ricchezza al suo interno. I Land oltre l’ex Cortina di Ferro percepiscono il gap che li separa dalla parte occidentale del Paese e, in una situazione di carenza identitaria, trovano nei partiti nazionalisti una nuova casa”. Ma a pesare è stata anche la convinzione diffusa tra i tedeschi di essere coloro che prima hanno dovuto mettere le mani al portafoglio per sostenere gli Stati più deboli dell’Ue e, oggi, essere quelli che più di tutti si impegnano nell’accoglienza dei migranti. “A spostare il voto a destra, però, sono stati gli stessi membri dell’Unione Cristiano-Democratica – sostiene il docente – le dure critiche piovute dall’interno del partito su Angela Merkel per la politica delle porte aperte ai migranti hanno aperto una falla nell’elettorato orientato più a destra che ha preferito dirottare il voto su AfD”.

L’Europa che si sposta a destra
Prima di oggi, in Europa i cosiddetti nazional-populismi avevano già iniziato a influenzare le politiche nazionali ed europee. “L’apoteosi – dice Mammone – è stata raggiunta con il voto sulla Brexit del giugno 2016. Questo episodio ci ha fatto capire quanto questi movimenti fossero capaci di influenzare l’opinione pubblica”. Evidenza confermata dal fiorire di nuovi partiti in tutta Europa e, soprattutto, dai risultati delle elezioni 2017. Prima di tutti è toccato ai Paesi Bassi, con il candidato del Partito della Liberta (Pvv), di stampo populista, xenofobo ed euroscettico, Geert Wilders, che, nonostante la vittoria del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (Vvd) di Mark Rutte, è riuscito comunque a influenzare le politiche dell’avversario. Tanto che il candidato del Vvd, nel tentativo di strizzare l’occhio a una parte dell’elettorato di Wilders, in campagna elettorale ha più volte usato una retorica vicina all’ultradestra sul tema immigrazione.

Cambiamento simile a quello avvenuto in Francia, con la vittoria di Emmanuel Macron. Il voto transalpino ha consegnato alla storia un Front National che mai era stato così forte, tanto da arrivare al ballottaggio con il giovane candidato a capo della lista En Marche!. Durante la campagna elettorale, Macron aveva annunciato di non voler cedere alle tendenze anti-immigrazione che avevano fatto grande il partito di Marine Le Pen. Peccato che già ad agosto, dopo appena quattro mesi dal suo ingresso all’Eliseo, il convinto europeista, in occasione del vertice sui migranti di Parigi, ha mostrato la volontà di esternalizzare le frontiere europee, illustrando un piano per identificare “i migranti nei Paesi d’origine”, e sancendo la chiusura dei confini francesi ai migranti economici. Un atteggiamento simile Macron lo ha tenuto anche in campo economico, con un’operazione in linea con il “patriottismo economico” caro alla sua avversaria del Front National, come dimostra la vicenda Fincantieri-Stx.

Twitter: @GianniRosini