Finalmente ci siamo. Il primo “referendum consultivo elettronico” italiano è partito. C’è chi ha prefigurato pericolosi scenari orwelliani in caso di utilizzo di strumenti di voto elettronico. Chi tuonato sugli “sprechi” derivanti dall’acquisto di tablet mal funzionanti. E persino qualcuno ha evidenziato falle nella sicurezza del software della SmartMatic che dovrebbe gestire il voto referendario, tali per cui un qualsiasi hacker potrebbe almeno potenzialmente alterarne i codici e minare l’affidabilità del voto. Ho letto e ragionato in questi giorni su quanto si è scritto e dichiarato.

La piattaforma di questa Smartmatic è effettivamente avvolta nel mistero. Sicura? Non si sa e non si può sapere. Il che non è di certo un buon segnale per chi crede (a ragion veduta) nell’importanza di soluzioni open. E ha ragione Umberto Rapetto a ricordarlo.

Ma ricordiamoci anche che questo non è un vero referendum, ma solo una significativa consultazione. E far “parlare” il popolo, interrogarlo su tematiche delicate è sempre una grande opportunità e una lezione di democrazia. E questo germe di democrazia diretta va oggi applaudito, almeno per ciò che rappresenta; e chi politicamente – sottolineandone i soli rischi informatici – prova a ridurlo oggi a una semplice pagliacciata ha una visione davvero distorta e grossolana dello strumento consultivo, il quale potrebbe essere invece facilitato e garantito da piattaforme affidabili di verifica dell’opinione dei cittadini italiani. E per queste tipologie di consultazione forse non si dovrebbe neppure pretendere la sicurezza assoluta (che peraltro neppure il voto cartaceo garantisce, ricordiamocelo). Inoltre, proprio da strumenti di consultazione on line simili a quelli oggi utilizzati, i nostri partiti politici potrebbero provare finalmente a colmare quella incredibile frattura che c’è tra il vertice e la base; frattura che costituisce una costante ed evidente violazione dell’art. 49 della nostra Costituzione, secondo il quale “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Io non amo i “talebani della sicurezza assoluta”. Mai amati. Anche perché la “chiusura a prescindere” verso il voto elettronico avrà come prima e unica conseguenza quella di spianare la strada a soluzioni farlocche e meno sicure di voto anche politico. E questo non deve accadere perché sarebbe realmente pericoloso. Perché il voto elettronico si svilupperà e prenderà piede. Ci piaccia o no.

Poi leggo in questi giorni a proposito di questo presunto “hackeraggio” subìto dalla piattaforma SmartMatic che “non è possibile escludere che qualcuno sia entrato nei database con l’intento di studiare parti del software e cercare eventuali vulnerabilità“. Quindi si tratterebbe di un data breach presunto, ma non dimostrato. E forse questo data breach (o “data beach” come mi suggerisce il correttore automatico dello smartphone) si sta rivelando essere un po’ farlocco come il “referendum” a cui si riferisce.

Ma vedremo cosa accadrà in futuro perché quanto emerso merita massima attenzione. Merita massima attenzione perché di queste tematiche occorre interessarsi e discuterne con pacatezza e attenzione, considerato che è in gioco il futuro della nostra democrazia. E, infatti, a seconda delle scelte e degli utilizzi più o meno consapevoli degli strumenti digitali per manifestare indicazioni, preferenze o voti potranno cambiare radicalmente gli scenari della nostra partecipazione (più o meno) democratica alla vita del Paese.

Quindi vanno applauditi sia questo un po’ improvvisato “referendum elettronico” e sia questo a volte stucchevole processo alla sua sicurezza informatica poiché entrambi hanno finalmente consentito un aperto confronto su tali tematiche, perché è un bene che se ne parli e non si nasconda invece la testa sotto la sabbia (o sotto i bit). E per siffatto motivo brindo sia al “farlocco referendum” e sia al “data breach”. Sono utili entrambi.

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