Non sono un grande amante dei personaggi seriali del genere noir. Esclusi i romanzi di Elmore Leonard e di Joe R. Lansdale, Héctor Belascoarán, l’orbo, sfortunato e disilluso protagonista dei romanzi di Paco Ignacio Taibo II, e il commissario Llob, nato dalla penna di Yasmina Khadra, devo tornare agli anni Sessanta e al Duca Lamberti di Giorgio Scerbanenco per trovare un protagonista che non mi abbia annoiato per più di una storia.

Lo so, è un’affermazione idiota scritta da uno che ha fatto la sua (misera) fortuna letteraria con le indagini dello sbirro anarchico Pietro Malatesta, che compare, per ora, in otto volumi, ma diciamo che si scrivono i romanzi che si vorrebbero leggere, e io, come scrittore che convive con il suo lettore, ce la metto tutta per inserire il mio nome tra la manciata di autori citati sopra.

Ho la percezione che molti scrittori continuino a buttare sul mercato nuove avventure dei propri eroi seguendo plot prettamente commerciali, traboccando nella palude dei mangiatori di noia, che aspettano questi campioni delle classifiche per farsi imboccare della trita e ritrita diatriba cartacea dei buoni contro i cattivi (i buoni vincono sempre, non preoccupatevi). E poi, nel nostro Belpaese di analfabeti disfunzionali, abbiamo Enrico Pandiani. Ogni volta che esce con un nuovo romanzo della serie poliziesca de Les Italiens garantisce un po’ di dignità ai piani alti. Un giorno di festa (Rizzoli), vede il commissario Pierre Mordenti e la sua squadra alle prese con una delle grandi paure dei nostri tempi: il terrorismo. L’analisi e le implicazioni politiche che stanno dietro l’eversione violenta, con cui Pandiani, tra le righe, abbellisce la storia, sono geniali. L’ennesima dimostrazione che il noir può essere ben scritto, intelligente, documentato e mantenere una grande tensione, oltre a momenti di divertimento e di intimità.

Una macchina procede lungo la costa atlantica, il vetro si infrange, il guidatore viene colpito a morte da un proiettile e la sua compagna, Leila Santoni della Brigata criminale comandata da Mordenti, sopravvissuta per miracolo, fugge braccata dagli assassini. Sulla Francia incombe la festa del 14 luglio. Il commissario deve ritrovare la donna e cimentarsi con un’indagine che può scuotere gli assetti politici di un Paese sfregiato dagli attacchi terroristici, dove il sospetto è moneta corrente. Pierre Mordenti, alla perenne ricerca di serenità, bisognoso d’amore in modo quasi fanciullesco e primitivo, vulnerabile nella vita di tutti i giorni, è un riuscitissimo personaggio contemporaneo. Non è solo tratteggiato, ma vive: è un protagonista pulsante e credibile.

Le ambientazioni sono veritiere, frutto della conoscenza dell’autore con quello che racconta, i dialoghi azzeccati, lo sviluppo dei nodi narrativi chiaro e ben strutturato. Un esempio su tutti, riguardo alla preparazione dello scrittore: nel testo la polizia giudiziaria è in procinto di abbandonare, dopo oltre cento anni, il mitico indirizzo 36, quai des Orfevres. Ma non è solo fiction, accade davvero: la polizia parigina, e con lei la Brigata criminale, si sta spostando negli ultramoderni uffici a Porte de Clichy per trasformare la vecchia sede in un museo della “sbirranza”. Enrico Pandiani ha affinato, romanzo dopo romanzo, un suo personale stile (già presente, forse in tono più anfetaminico in Les Italiens) che trovo diversissimo da quello di altri noiristi italiani. Sembra affondare le proprie radici nel polar, cinematografico e letterario, caratteristica che conferisce ai suoi libri un profumo internazionale.

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