“Si discute di come far funzionare meglio l’Italia, non si discute l’Italia”. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni parla per la prima volta dopo il referendum sull’autonomia che in Lombardia e ancora di più in Veneto ha rafforzato la posizione dei governatori Roberto Maroni e Luca Zaia. “Il Governo è aperto a un confronto di merito – dice il capo del governo – Alcune funzioni possono essere rese più efficienti da un maggior ruolo autonomo delle Regioni? E’ possibile, anzi, è probabile, e discuterne è utile. Vedremo quali funzioni, vedremo a quali condizioni”. Gentiloni aggiunge che “chiunque conosca l’amministrazione pubblica sa che sarà una discussione complessa, non una cosa che si fa in 5 minuti, con due battute. Ma siamo pronti a fare questa discussione”. Il presidente del Consiglio – ma questo lo sappiamo da Maroni – ha proposto di suddividere le materie su cui la Lombardia chiederà l’autonomia in “quattro o cinque macroaree” in modo che se ne occupino squadre di esperti. “E io sono d’accordo” ha aggiunto Maroni.

Per il resto non cambia la posizione della Lombardia. Nella trattativa con il Governo, ha ribadito il presidente Roberto Maroni, verranno chieste competenze “su tutte le 23 materie disponibili, con relative risorse”. Come recitava il quesito approvato da 2,8 milioni di elettori (circa il 38 per cento degli aventi diritto). E con un mandato possibilmente “unanime” delle forze politiche.

La richiesta di Statuto speciale avanzata dal presidente del Veneto Zaia ha segnato una distanza con la Lombardia, anche se i toni della polemica si sono stemperati col passare delle ore. In un’intervista a Repubblica Maroni ha affermato di essersi sentito “spiazzato” dalla mossa del collega leghista, che può creare tensioni con il governo. Ma qualche ora dopo il presidente lombardo ha replicato che c’era stata, sì, “una forzatura” ma del quotidiano che ha riportato le sue parole: “Io non critico Zaia, lo sostengo pienamente”. E spiega la posizione sul punto: la Lombardia, dice, chiede di essere riconosciuta come Regione speciale ma non a Statuto speciale. “Non vorrei che questo fosse frainteso – ha chiarito Maroni – Il Veneto chiede lo Statuto speciale, noi non lo faremo perché il quesito diceva un’altra cosa, ma sarà comunque più interessante perché si introduce un genere, la Regione speciale, che ancora non c’è”. Quella che il governatore lombardo ha definito la fase del “neo-regionalismo, una pagina esaltante”.

E’ un fatto che la Lombardia lavori a un percorso diverso, pur volendo far fronte comune a Roma con il Veneto, ma anche con l’Emilia Romagna del governatore Stefano Bonaccini. Maroni punta, infatti, al riconoscimento della “specialità” della sua Regione, senza uno Statuto speciale, quindi senza chiedere una modifica della Costituzione. E’ la posizione che ha difeso per tutta la campagna referendaria.

E’ una terza via, sulla quale il consiglio regionale lombardo ha iniziato a lavorare, per arrivare a una risoluzione che possa coinvolgere anche chi non ha sostenuto il referendum. Ovvero, il Pd e le altre forze di centrosinistra invitate a partecipare, con centrodestra e M5s, alla delegazione che negozierà con Palazzo Chigi.
Tempi per votare il mandato, due o al massimo tre settimane. “Il presidente del Consiglio, Gentiloni, mi ha detto che appena siamo pronti non aspetterà 60 giorni per avviare il confronto”, ha detto Maroni nella lunga informativa all’Aula del Pirellone, nella quale ha detto di puntare al massimo del risultato anche in materia fiscale ma senza citare direttamente il “residuo”.

La sfida è ora quella di cucire un accordo che soddisfi, appunto, tutte le forze politiche. Il presidente del Consiglio regionale, Raffaele Cattaneo (Ap), ha proposto di raggruppare le richieste “per priorità”. I 5 Stelle – che col loro voto nel 2015 hanno reso possibile il referendum, togliendo proprio la richiesta di Statuto speciale dal quesito e aggiungendo il voto elettronico – avvertono con Stefano Buffagni: “La rapidità del negoziato è messa a rischio dalla fine della legislatura”. E’ il Pd che ha posto una condizione dirimente: “Se sarà una proposta condivisa, noi ci siamo – ha affermato il segretario regionale Alessandro Alfieri – Se il ragionamento di Maroni è ‘queste sono le 23 materie, prendere o lasciare’, invece non parteciperemo”. Posizione condivisa, questa volta, anche dai sindaci. Per quello di Milano, Giuseppe Sala, quello di Zaia “è un discorso pericolosissimo, e bene ha fatto Maroni a prendere le distanze”.

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