Sono molto perplessi i tecnici del Servizio Bilancio del Senato a proposito della decisione del governo di concedere a Lottomatica in anticipo, per altri 9 anni e senza gara la gestione del Gratta e Vinci, i popolarissimi “grattini” che nei bar e nelle tabaccherie si vendono come il pane. I funzionari parlamentari si sono occupati della faccenda nell’ambito della relazione sul decreto fiscale del governo dentro il quale è inserita la norma del rinnovo automatico della concessione. Ai “grattini” sono dedicate tre pagine fitte di critiche che somigliano molto a una bocciatura. Di fronte a queste obiezioni severe e ai giudizi negativi provenienti anche dalle opposizioni, il governo ha deciso di rinviare la discussione e il viceministro dell’Economia, Enrico Morando ha ammesso che “il provvedimento è migliorabile”.
Gli appunti dei tecnici del Senato sono a tutto campo. Di fronte a un testo considerato approssimativo si chiedono quale sia la vera natura della decisione presa dal governo: si tratta di un rinnovo o di una proroga? E poi si domandano ancora: ma perché mai anticipare i termini, rinnovo o proroga che sia, se la scadenza naturale della concessione cominciata il primo ottobre di 7 anni fa è a settembre 2019? E perché lo Stato concessore vuole bruciare i tempi rinunciando di fatto al suo diritto di controllare l’andamento della concessione stessa per tutta la sua durata novennale? Ci sarebbe stato tutto il tempo necessario per percorrere altre strade, ammoniscono i tecnici del Senato, prima tra tutte la via maestra di una gara che “avrebbe consentito di tener conto delle criticità espressa dall’Anac“, l’Anticorruzione di Raffaele Cantone, e avrebbe magari dato allo Stato la possibilità di fissare una base economica più alta di quella fissata.
Oggi alla società che gestisce il Gratta e Vinci vengono chiesti 800 milioni di euro in cambio di un allungamento della concessione di 9 anni, dal 2019 al 2028, 50 milioni subito nel 2017 e gli altri 750 l’anno prossimo. Gli stessi soldi che dovette versare 7 anni fa per la concessione di allora, senza un euro in più, come se nel frattempo non fosse successo niente. Come se cioè in questi anni i “grattini” non fossero diventati un fenomeno nazionale, uno dei giochi più richiesti e più ricchi di tutto il panorama dell’azzardo, acquistabile nella bellezza di 60mila punti vendita, cresciuto con una progressione strabiliante: da appena 200 milioni di euro nel 2003 a circa 9 miliardi l’anno passato. Se fosse stata bandita una gara, lo Stato forse avrebbe potuto chiedere di più come base d’asta ai partecipanti, magari 900 milioni di euro. E se l’esigenza impellente fosse stata quella di fare cassa subito, avrebbe potuto anche pretendere una qualche forma di anticipo ai soggetti eventualmente interessati.
Sentita da ilfattoquotidiano.it, Lottomatica preferisce non commentare per “rispetto del dibattito parlamentare in corso”. L’unica voce pubblica a difesa delle tesi del gruppo della famiglia Drago-Boroli è quella di un legale anonimo raccolta sotto forma di intervista dall’agenzia specializzata Agimeg. La tesi è che le critiche espresse dal Servizio Bilancio del Senato mettono “a rischio una concessione che finora ha garantito il massimo livello di sicurezza e controllo e che permetterebbe allo Stato di avere un’immediata copertura per interventi di spesa importanti”. Non è esplicitato, ma si intuisce che anche questa storia del Gratta e Vinci è un capitolo dell’assillo governativo di trovare soldi “pochi, maledetti e subito” per la parziale copertura della scelta di sterilizzare l’Iva che ha un costo di 5 miliardi di euro. Il rinnovo senza gara del Gratta e Vinci a Lottomatica si immette in un filone seguito dal governo in questi ultimi tempi a proposito dei prolungamenti delle concessioni in antitesi con ciò che predica l’Europa e cioè l’obbligo di fare gare pubbliche. Dalle Autostrade dei Benetton alla A 22 del Brennero, i rinnovi automatici delle concessioni pubbliche stanno diventando un vizio nazionale.