La difesa ha depositato quella che considera la prova regina. Secondo l’accusa, però, quell’elemento potrebbe non volere dire nulla. Per la procura di Palermo quindi l’eritreo estradato due anni fa dal Sudan continua a essere il capo il capo di una delle principali organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti tra l’Africa e l’Italia. E questo nonostrante l’ultima mossa dell’avvocato Michele Calantropo che da mesi ormai sostiene ci sia stato uno scambio di persona.
Il legale ha depositato alla corte d’assise la comparazione del dna del suo assistito con quello di Meaza Zerai Weldai, la donna eritrea arrivata a Palermo nei giorni scorsi e che sostiene di essere la madre dell’imputato. Dalla comparazione risulta una compatibilità del 99,99% dei due profili genetici. Per l’avvocato si tratta della prova dello scambio di persona: l’uomo alla sbarra non è il trafficante Medhanie Yehdego Mered, detto il generale, ma Medhanie Tesfamariam Behre, un falegname eritreo che si trovava in Sudan per imbarcarsi per l’Italia. La perizia è del genetista Gregorio Seidita, ricercatore al Dipartimento di Biopatologia e Biotecnologie mediche dell’Università di Palermo.
Secondo i pm, invece, la comparazione dei dna non dimostrerebbe nulla a proposito dell’identità dell’imputato, limitandosi a stabilire il rapporto di parentela con la donna. L’identificazione, infatti, per gli inquirenti non si è basata sul dna ma su indagini svolte attraverso intercettazioni telefoniche e esame di materiale ritrovato nel cellulare dell’estradato. La prova che la procura considera fondamentale sarebbe la perizia fonica realizzata comparando la voce del trafficante ricercato e quella dell’eritreo arrestato ed estradato nel maggio del 2016. Il processo è stato rinviato al 9 novembre per la deposizione del funzionario di polizia Carmine Mosca che curò le indagini e andò in Sudan a prendere l’indagato dopo la concessione dell’estradizione.