GORIZIA – Nel Carso il cielo è bianco latte, sporco, pastello tendente alla neve. Qui il confine, la frontiera non è qualcosa di aleatorio, non è dialettica; quel solco che rende Gorizia italiana e Nova Gorica slovena è tangibile e pesante, anche se non esiste e in pochi chilometri si passa dall’una all’altra sponda. Capisci che sei sbarcato nell’ex Jugoslavia quando affiorano i Casinò. In questo snodo verso l’Est è approdata per la sua quarta edizione la New Italian Dance (Nid), partita da Lecce e Brindisi nel 2012, passata da Pisa nel 2014, soffermatasi a Brescia nel 2015. Una nuova geografia della danza contemporanea nazionale, un Best of da presentare agli operatori (400 quest’anno, di cui una buona metà stranieri), una piattaforma per far circuitare nel mondo le compagnie di casa nostra.
Dal fitto programma emerge il R.Osa di Silvia Gribaudi che ha trovato in Claudia Marsicano la sponda perfetta e il suo alter ego capace di alternare al suo fisico oversize, grazia, eleganza, estrema femminilità, e grande autoironia. Già nel titolo insistono il “rosa”, colore stereotipo femminile, e il verbo “osare”. R.Osa deve essere portato nelle scuole come il miglior antidoto a tutti i bullismi; la coreografa e l’interprete ci dicono di non avete paura del nostro corpo, qualunque esso sia. R.Osa va contro i cliché dei canoni di bellezza occidentale. Qui l’attrice (botticelliana) prestata alla danza, nel suo costume da fitness, diventa un’insegnate di ginnastica anni 80 e l’ossimoro sta tra la forma fisica, che esalta, e il corpo, che mostra senza pudori né vergogne. Il suo discorso mira all’accettazione, al volersi bene. La parodia di Jane Fonda e di tutte le imbonitrici da piccolo schermo che inneggiano a tartarughe e addominali scolpiti è completa: vincono le imperfezioni, trionfano Botero e Rubens. L’accoppiata Gribaudi-Marsicano è da urlo.
Grande impatto energetico quello che ha messo nei suoi cerchi di luce Daniele Ninarello, accompagnato a suoni elettronici e sax Dan Kinzelman, che ruota e vortica e gira furioso nel suo Kudoku (parola cardine buddista: beneficio) come un derviscio rotante di Konya a cercare l’assoluto, la trance, il nirvana. In un contesto di suoni dai decibel disturbanti, il ritmo sale, il pathos sfiora vette impensate, braccia e gambe inseguono il suono e si fanno, per la velocità disarmante, opachi fino a perdere i contorni, la percezione dell’immagine si confonde in un mistico caos rituale che ha punte di religioso come di carnale e erotico, materico e distruttivo da big bang, vitale e scarnificante. Ninarello spiazza e sposta, aggredisce e morde, ansima, “mastica e sputa”, per dirla alla De Andrè.
Lavoro fresco e reattivo il Re-garde, Artemis Danza, con Francesco Colaleo e Maxime Freixas che hanno messo in scena un amore essenziale, pulito, lineare, di piccoli passi e dolcezza. Una musica essenziale di rintocchi e bassi, la definirei “fredda” e tecnologica, viene remixata e sequenziata con inserti, sempre più spessi e ampi, di lenti tangati di stampo francese d’antan (culminano con Charles Aznavour), che descriveremmo come “caldi”. Da movimenti uniformati, all’unisono e omologati al gesto indipendente e autonomo, una sorta di ribellione, salutare e salvifica, all’interno della coppia.
Colpisce la forza della prima parte del lavoro di Marco D’Agostin, Everything is ok, con un lungo hip hop a cappella, statico nella sua camicia hawaiana, in un’invidiabile fluidità miscela italiano, inglese, francese e spagnolo, tra canzoni e pellicole, con un grande studio sulla modulazione della voce, con cambi repentini da applausi, come se il flusso joyciano sgorgasse da una radio impazzita: “Va tutto bene” è quello che vorremmo sempre sentirci dire.
Semplice il meccanismo di Home alone di Alessandro Sciarroni, opera del Balletto di Roma: un pc, un’app che trasforma, come uno specchio deformante, i corpi che gli si parano davanti. A un primo tratto può apparire come allegro, colorato e divertente. A scavare un po’ ci accorgiamo che questa riflessione giocosa sullo “stare a casa da soli”, da parte di bambini e adolescenti, a sentire musica da youtube e usare app che allungano, rimpiccioliscono gulliverianamente e picassanianamente la propria figura, sia superficiale. Dallo schermo del portatile, mentre la danzatrice fa le sue evoluzioni trasformate dall’app, esce un suo simile, una sorta di amico immaginario. La sua comunicazione, il suo scambio con questo alter ego rimane virtuale e bidimensionale e qui la solitudine dei ragazzi d’oggi (il grave problema sociale degli hikikomori di ogni latitudine) viene ammantata di finta felicità. La prossima Nid, nel 2019, sarà a Reggio Emilia. “Prima danza. Dopo pensa. È l’ordine naturale delle cose”, sosteneva Samuel Beckett.