Non solo i sindacati e i presidenti delle commissioni Lavoro. Ora anche un membro del governo e il coordinatore della segreteria del Pd si schierano contro l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni. Anche se il tempo a disposizione per stoppare davvero il nuovo balzello è poco, pochissimo. Eppure ora si levano diverse voci fuori dal coro anche dal primo partito della maggioranza. Prima è intervenuto Gianni Cuperlo, dicendo che ci vuole “buon senso”. Poi è toccato al ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina: “Non tutti i lavori sono uguali. E non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita per le mansioni che fanno fanno – è il pensiero del vicesegretario del Pd – Le norme vanno riviste e per questo serve un rinvio dell’entrata in vigore del meccanismo”. Finora nessuno da Palazzo Chigi aveva contestato il prossimo aumento previsto nel 2019, tanto più che martedì l’Istat ha comunicato che la speranza di vita si è ulteriormente allungata. Al ministro dell’agricoltura si è aggregato anche Lorenzo Guerini, coordinatore della segreteria dem che parla di un “meccanismo rigido e automatico”.

A pochi mesi dalle urne, anche diversi pezzi grossi del Partito Democratico, quindi, si schierano contro l’adeguamento voluto dal governo Berlusconi e confermato dall’esecutivo guidato da Mario Monti, basato sull’aumento dell’aspettativa di vita. Il nuovo balzello è frutto dei calcoli dell’Istituto di statistica che martedì ha certificato come l’aspettativa per i neonati sia passata da 66,7 a 67 anni. Stando alle regole attuali, di conseguenza, dal 2019 si allungherebbe anche il momento dell’uscita dal mondo del lavoro. La prossima mossa tocca al ministero del Lavoro, che dovrebbe emanare un decreto firmato da Giuliano Poletti. “C’è una legge e la legge si applica. L’Istat ha fatto quello che doveva – ha detto il ministro – È una legge che andrà in applicazione all’inizio del 2019, quindi c’è ancora un anno di tempo se si vuole discutere e confrontarsi nel merito. Il tempo c’è”. Non esattamente: la firma – perché l’adeguamento inizi in tempo – deve arrivare entro la fine del 2017, con un anno di anticipo rispetto all’entrata in vigore dell’adeguamento. Il tempo, insomma, in realtà stringe. E Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato risponde alle parole degli esponenti della maggioranza: “Trasparenza e correttezza verso i cittadini impongono alla politica una risposta chiara al nodo dell’età di pensione. Un rallentamento nel passaggio agli annunciati 67 anni impone una corrispondente correzione della legge di Bilancio – spiega il senatore di Energie per l’Italia – In assenza di questa correzione il bilancio triennale sconta gli effetti della maggiore età a partire dal 2019. Dire quindi che si rinvia l’atto di recepimento della comunicazione Istat è una falsa promessa se il bilancio resta invariato. Poi legge può cambiare legge. Con il futuro governo e nel futuro Parlamento si vedrà”.

Lo spazio “per una discussione parlamentare a partire dalle commissioni preposte”, insiste però Martina, c’è tutto ed è giusto prenderselo “per aggiornare questa decisione”. Una linea sposata da Guerini, che si dice “d’accordo con chi, come la segretaria della Cisl Anna Maria Furlan, ha detto che le regole vanno ripensate”: “Il rispetto dei conti – ha spiegato il coordinatore della segreteria del partito – deve anche tenere in considerazione il rispetto delle persone e della storia della loro vita lavorativa”. Oltre ai sindacati – che hanno definito un “meccanismo infernale” legare l’uscita dal mondo del lavoro all’aumento dell’aspettativa di vita – anche i presidenti delle commissioni Lavoro, Cesare Damiano e Sacconi, negli scorsi mesi si erano detti contrari. Il giudizio sull’ipotesi di stop da parte della Ragioneria di Stato era stato tuttavia netto: “Se si rimanda l’aumento dell’età di uscita, il sistema è a rischio e gli assegni saranno più bassi”.

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