Con il passaggio a 13 fatture annue i consumatori hanno subito rincari dell'8,6%, per un totale di 1,2 miliardi. Un emendamento Pd impone di tornare alla tariffazione a 30 giorni. Ma i gruppi delle tlc lamentano di aver subito flessioni dei margini e fanno intendere che questo peserà sugli investimenti nelle frequenze 5G. Da quell'asta l'esecutivo conta di ricavare almeno 2,5 miliardi
Per il governo Gentiloni la fatturazione a 28 giorni e l’asta per il 5G sono due facce della stessa medaglia. Con un conto salato che rischia di pesare come una sorta di “tassa occulta” su tutti i clienti della telefonia mobile in nome dei nuovi investimenti. E’ un grosso rompicapo per l’esecutivo stretto fra i clienti, infuriati per gli aumenti sui servizi telefonici (+8,6% annuo, per un totale di 1,2 miliardi) e compagnie telefoniche alle quali il Tesoro ha chiesto di investire almeno 2,5 miliardi nell’asta per le nuove frequenze. Non a caso, nel mezzo della polemica sulle fatturazioni a 28 giorni, l’associazione degli industriali (Asstel) ha ricordato che le compagnie investono 6,5 miliardi l’anno, ma dal 2010 subiscono una flessione dei prezzi e dei margini. Una situazione che, a lungo andare, potrebbe pesare sugli investimenti nelle nuove tecnologie. Incluso il 5G.
Di qui la richiesta degli industriali del settore di un incontro urgente al ministero dello Sviluppo per discutere dell’emendamento al decreto fiscale contro la tariffazione a 28 giorni depositato dai piddini Andrea Marcucci e Stefano Esposito in commissione Bilancio al Senato. Le compagnie sono molto preoccupate perché non solo l’emendamento fissa per legge la tariffazione a 30 giorni, ma stabilisce anche pesanti multe per chi non si allinea (da 500mila a 5 milioni). Infine prevede “un indennizzo” a carico dell’operatore sanzionato “non inferiore a euro 50 in favore di ciascun utente interessato dalla legittima fatturazione”, come si legge nel testo che raddoppia l’apparato sanzionatorio in mano all’Agcom.
L’emendamento Pd, cui presto seguirà analoga iniziativa del Movimento 5 Stelle, piace invece alle associazioni dei consumatori, che tuttavia vorrebbero anche il rimborso integrale per le cifre percepite (circa 1,8 miliardi su un anno e mezzo) indebitamente allungando il calendario a 13 mesi. Per ottenerlo, dopo aver presentato presentato esposti nelle Procure di mezza Italia, Codacons, Adusbef e Movimento Consumatori si dicono pronte anche a una class action che coinvolgerebbe milioni di persone con un’iniziativa dall’esito affatto scontato. Se infatti, come ha spiegato il ministro Carlo Calenda, è “chiarissimo che la fatturazione a 28 giorni sia una pratica commerciale scorretta”, non è altrettanto scontato che gli operatori siano tenuti a rimborsare i clienti. Toccherà eventualmente all’Agcom stabilire la sanzione per le condotte pregresse degli operatori.
Ma per gli operatori le cose non stanno affatto in questi termini. Non a caso, contrariamente alle piccole società del settore come Coop Voce o Tiscali, le grandi aziende Tim, Wind–Tre, Fastweb, PosteMobile e Vodafone (più la pay tv Sky) non si sono allineate alle prescrizioni dell’Agcom sul ritorno alla fatturazione a 30 giorni. Anzi, hanno presentato ricorso al Tar contro la decisione dell’autorità di vigilanza presieduta da Angelo Cardani. Le cinque compagnie, che coprono circa il 90% della domanda, sostengono che la revisione della fatturazione rientri nel libero gioco del mercato. Lamentano inoltre margini risicati e, in nome dei futuri investimenti, chiedono al governo di mantenere gli aumenti che sono riusciti a spuntare con la fatturazione a 28 giorni sulla bolletta mensile. Possibilmente congelando anche il diritto di recesso gratuito per il cliente.
In pratica, gli operatori non solo vorrebbero trattenere gli introiti della fatturazione a 28 giorni, ma puntano a stabilizzare l’incasso aggiuntivo da 1,2 miliardi annui, cifra pari a quasi la metà della base d’asta per il 5G. Chiedono infine al governo di evitare una sanguinosa guerra dei prezzi. Il tutto in nome degli investimenti fra cui anche quelli per l’asta 5G. “La verità è che questa situazione paradossale è figlia del flop delle liberalizzazioni nella telefonia – spiega al fattoquotidiano.it Alessandro Mostaccio, segretario generale del Movimento Consumatori – Negli anni siamo arrivati ad una giungla selvaggia su prezzi e offerte in cui l’utente difficilmente riesce ad orientarsi. In un certo senso, le liberalizzazioni hanno spinto gli operatori verso pratiche scorrette per racimolare i denari necessari agli investimenti. Sarebbe bene che il governo affrontasse la questione seriamente parlando del futuro delle telecomunicazioni nel Paese nell’interesse di imprese e cittadini”. Operazione complessa, quest’ultima, in tempi di campagna elettorale.