Destinazione Italia doveva essere il viaggio che rimette in connessione il leader del Pd con gli italiani. Ma dopo la prima settimana tra fischi, insulti e proteste nelle stazioni lo staff cambia programma e decide di non divulgare più le tappe, sottraendo il segretario alle imboscate di chi non gradisce la sua passerella lungo i binari. Neppure l'organizzazione del Pd sa dove e quando ferma il treno. E passa la palla alle Fs, che a sua volta la ripassano al partito. Mentre il convoglio si arrende dove è più agevole spiccare il volo
È partito da una stazione, è arrivato a nasconderle tutte. Fischi e insulti di cittadini arrabbiati a Polignano, striscioni a Porto San Elpidio, grida e dileggi a Reggio Calabria. Ogni tappa, una croce per il tour in treno di Matteo Renzi, partito il 17 ottobre per toccare in otto settimane le 107 province italiane. “Destinazione Italia” voleva essere un “percorso di ascolto e confronto” ma alle prime fermate Renzi e i suoi hanno dovuto rimettere i piedi per terra: “Buffone, buffone!”, urlano a Vasto, dopo un’accoglienza non meno calorosa ad Ascoli Piceno, mentre a Reggio Calabria hanno dovuto far rientro in stazione dall’ingresso secondario. Così, per evitare che ogni fermata del convoglio si trasformi in uno spot anti-Renzi, hanno deciso di cancellare ogni indicazione sul programma di viaggio. Neppure l’organizzazione del Partito, abbiamo fatto la prova, sa dove il convoglio fermerà.
Alla vigilia della partenza, sul sito del Partito Democratico erano invece indicate le tappe della prima settimana: martedì Farva, Civita Castellana, Narni, Spoleto, mercoledì Fano, Osimo e così via. Ma quella pagina (sotto lo screenshot) è scomparsa dopo le prime avvisaglie di un viaggio più faticoso del previsto, con video che raccontano il vero spirito di accoglienza che viene riservato a Renzi in giro per l’Italia. Così il sito su cui è transitata tutta l’operazione www.treno.partitodemocratico.it non indica più alcuna tappa, neppure per sbaglio fa riferimento alla “prossima fermata”, come recitava lo slogan della prima stazione (Leopolda) da cui Renzi era partito, nel lontano 2010.
Inutile chiamare le Fs che rimandano all’ufficio stampa del Pd, anche se il treno corre ancora sui suoi binari. O forse no, perché è anche successo che si sia fermato di fronte all’ineluttabile. Il quinto giorno il tour fa tappa a Matera dove – una volta arrivato sul binario morto della Linea Ferroviaria Jonica – il pezzo più antico e martoriato della rete ferroviaria nazionale, Renzi è sceso per raggiungere Reggio Calabria in aereo. Certificando così che quel tratto non fa parte dell’Italia ma di un Medioevo dei trasporti sul quale è meglio sorvolare. “In treno ci si arriverà per bene tra qualche anno”, ha però assicurato Renzi incontrando i rappresentanti dell’associazione che chiede la linea ferroviaria statale. Ma chi può, nel frattempo, prenda l’aereo.
Altro paradosso: non avendo le tappe successive, il viaggio che guardava al futuro del Paese si limita a raccontare il passato, in forma di diario della fermata del giorno prima. Un diario-melassa tra foto opportunity sorridenti, comitati sempre festosi, interlocutori attenti e compiti di fronte al leader e ben edulcorato da spiacevoli, per quanto sistematici, episodi di dissenso. “Ogni sera, a fine giornata, quando è tardi e sei anche un po’ stanco, è la pienezza e l’intensità delle emozioni che il viaggio ti ha regalato a farti desiderare che venga presto il giorno dopo”. Così scriveva Renzi alla fine del terzo giorno. Non un accenno alle proteste. Niente detrattori, critici e cittadini comuni arrabbiati. Disturbano il macchinista.