Secondo i periti del tribunale i medici non hanno risposto all’emergenza nei modi migliori, quelli che forse avrebbero potuto salvare almeno il feto. Tuttavia è emersa l’assenza di un nesso causale tra le loro mancanze e la morte della donna
La morte di Angela Nesta, 39 anni, e della sua bambina è dovuta a “una massiva embolia amniotica polmonare”, rara, imprevedibile e neanche prevenibile. Ma i medici non hanno risposto all’emergenza nei modi migliori, quelli che forse avrebbero potuto salvare almeno il feto. Lo sostengono i periti del tribunale di Torino incaricati di dirimere i dubbi del giudice per le indagini preliminari Alessandra Cecchelli che deve decidere se archiviare l’inchiesta su quanto è avvenuto alle prime ore del 27 dicembre 2015 all’ospedale Sant’Anna di Torino, centro di ginecologia e ostetricia delle “Molinette”. La perizia è stata discussa in tribunale nei giorni scorsi ed è emersa l’assenza di un nesso causale tra le mancanze dei medici e la morte della donna, fattore per il quale il sostituto procuratore Monica Supertino chiederà l’archiviazione, come aveva già fatto trovando però l’opposizione della famiglia.
Il 26 dicembre 2015 Angela Nesta, che è al nono mese di una gravidanza a rischio per l’età e il sovrappeso, va in ospedale per i forti dolori. Viste le condizioni, i medici decidono di trattenerla lì e indurre il travaglio. Fin qui tutto regolare, secondo i periti, il medico legale Yao Chen dell’Università di Pavia e il ginecologo Enzo Rezzonico. I problemi sorgono dalle 23, momento dal quale gli esperti notano cinque gravi comportamenti: nessuno si accorge dell’inizio del travaglio, la donna non riceve un’adeguata assistenza ostetrica, né il suo stato di agitazione “abnorme” viene mantenuto sotto controllo. Il personale, poi, avrebbe sbagliato i controlli sulla bambina utilizzando metodi come l’auscultazione intermittente “in un contesto inappropriato e tecnicamente inadeguato” e interrompendo la “sorveglianza elettronica fetale in una condizione di attuale travaglio a rischio”.
Sull’agitazione i periti si soffermano di più sostenendo come alcuni comportamenti strani della Nesta, definiti come “non collaborativi” dai testimoni, fossero in realtà i primi segni dell’embolia. “Sorprende però, in particolare in un centro di eccellenza quale le Molinette, che a tale stato di abnorme agitazione non si sia attivata alcuna risposta assistenziale”, si legge nella perizia. Per gli esperti il personale sanitario non avrebbe dovuto “assecondare” i comportamenti della partoriente, ma cercare di tutelarla di più, ad esempio sedandola. Soltanto dopo un’ora e 40 minuti di comportamenti agitati si decide di portare Angela Nesta in sala parto. “Tutto questo – è scritto nelle conclusioni – configura un inaccettabile livello di ‘sub standard care’, particolarmente criticabile in un centro di eccellenza clinica quale le Molinette”. Lì, in sala, mamma e figlia muoiono all’una e trenta del 27 dicembre per via dell’embolia amniotica che ha colpito la donna. C’è di più: “L’omesso, necessario monitoraggio elettronico del benessere fetale durante il travaglio di parto” avrebbe permesso di riscontrare le sofferenze della bambina e procedere al taglio cesareo e alla rianimazione con cui si poteva ristabilire l’attività cardiocircolatoria “anche se ciò non avrebbe necessariamente garantito la sopravvivenza e, tanto meno, l’integrità neurologica del neonato”.
I periti del giudice parlano poi di documentazione lacunosa, un aspetto che fa il paio con quanto denuncia il legale che assiste il padre di Angela, Pietro Nesta, e il compagno della donna Francesco Scarlata: “Le cartelle cliniche sono carenti – afferma l’avvocato Giulio Calosso, che rilancia -. Inoltre se l’avvocato dell’ospedale assiste ai sette interrogatori dei testimoni davanti ai carabinieri, come è avvenuto, c’è il rischio che l’inchiesta venga inquinata”. In udienza la pm avrebbe detto di aver dato un’autorizzazione verbale all’avvocato Gino Obert, che segue la struttura ospedaliera, ma manca l’autorizzazione scritta.