Sul palco di Pietrarsa, dove si tiene la conferenza programmatica del Partito Democratico, il segretario "abbraccia" e fa la pace con Paolo Gentiloni e accoglie il consiglio di Marco Minniti ad allargare lo sguardo a sinistra. Speranza (Mdp) chiude: "E' un disco rotto, occorre cambiare radicalmente politiche"
Berlusconi promette di abbassare le tasse, ma poi lo facciamo noi. Quelli della Lega sono bravi finché restano nelle valli perché appena scendono, rubano più degli altri. I Cinquestelle governano Roma e Torino, ma la colpa è sempre degli altri: “La multa non pagata è colpa di Fassino“. Uno, due, tre: Renzi mette nel mirino tutti gli avversari e dà lo start ufficiale alla campagna elettorale. Sul palco di Pietrarsa, dove si tiene la conferenza programmatica del Partito Democratico in vista delle politiche, il segretario “abbraccia” e fa la pace con Paolo Gentiloni dopo l’incidente sulla riconferma di Ignazio Visco alla guida della Banca d’Italia e per il momento dà retta proprio al presidente del Consiglio, a Marco Minniti, a Dario Franceschini, a Andrea Orlando che gli hanno chiesto di compiere un gesto per ampliare la coalizione verso sinistra. Ma l’apertura è strategica perché poi, da principale sponsor del Rosatellum, apre alla ipotesi della grande coalizione con il centrodestra: “Più voti prende il Pd, meno possibilità ci sono di larghe intese“. Possibilità che esiste, quindi, nonostante negli ultimi mesi il segretario l’abbia negata.
La parola che descrive l’atteggiamento che Renzi ha scelto di tenere nella kermesse napoletana è ecumenismo. “Non si possono mettere veti sulle realtà che vengono dal centro – dice il segretario, in riferimento al fido alleato di governo Angelino Alfano – e non possiamo permetterci veti alla nostra sinistra: se qualcuno pensa che fuori dal Pd sia più facile difendere gli ideali della sinistra, rispondiamo che senza Pd, fuori dal Pd, non c’è la rivoluzione socialista ma Di Maio. Se però c’è disponibilità a centro e sinistra di creare strutture e aprire ragionamento sui contenuti ci siamo. Ma non rinunciamo alle nostre idee”. Più precisamente: “La legge elettorale che il Parlamento ha approvato impone le coalizioni. Io condivido il discorso di Gentiloni: il Pd deve essere il perno del prossimo governo. Io i veti non li metto e chiedo al Pd di non metterli nei confronti di nessuno, di superare gli insulti che abbiamo ricevuto perché non si vive di risentimenti o di rancore. Siamo in totale e trasparente disponibilità. Ma per le prossime elezioni sono più importanti i voti dei veti”.
Così importanti che, data la natura stessa del Rosatellum, determineranno la necessità o la non necessità di una coalizione più ampia. “Puntiamo a governare da soli. Da soli come coalizione, non voglio far prendere uno stranguglione alla prima fila”, premette ironico Renzi, per poi mettere sul tavolo una distinzione sostanziale: “Ma più voti prende il Pd, meno possibilità ci sono di larghe intese”. Eventualità che negli ultimi mesi il segretario aveva a più riprese negato.
Una prima risposta all’apertura di Renzi arriva da Roberto Speranza: “Ancora un racconto dell’Italia tutto rose e fiori – dichiara il coordinatore di Articolo Uno-Mdp – Renzi è un disco rotto. Destra e populismi sono così forti proprio per le politiche sbagliate di questi anni. Senza cambiarle radicalmente nessuna alchimia elettorale potrà fermarli”.
Naturalmente, come in tutti i discorsi di Renzi, anche in questa apertura al mondo che sta alla sinistra del Pd c’è un ‘però’ che corrisponde al nome di Piero Grasso. “Ho vissuto con dolore il fatto che il presidente del Senato abbia lasciato la tessera del Pd e mi dispiace, non dobbiamo fare polemiche con la seconda carica dello Stato”, premette il segretario in via retorica, per poi farla, la polemica: “Ma non possiamo accettare che si dica che la fiducia è un atto di violenza: non lo è stato, un atto di violenza”. E’ in questo ragionamento che Renzi dice “no a un vocabolario da ultrà: non è violenta la fiducia, non è vigliacco chi non la pensa come te, non è eversiva una mozione parlamentare approvata con il parere del governo. Le parole sono importanti, diceva Moretti”. Il riferimento al “vigliacco” è a come Alessandro Di Battista ha apostrofato nei giorni scorsi il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, mentre il termine “eversivo” legato alla mozione su Bankitalia è stato usato – tra gli altri – dall’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli.
Alcuni passaggi finali dell’intervento sono dedicati al M5s, che dà sempre la colpa a “quelli di prima” anche dove governa ormai da tempo, come a Roma e Torino: “A Roma sono 500 giorni che governa Virginia Raggi, eppure la colpa è sempre di quelli di prima. A Torino è sempre colpa di Fassino: la multa che non hanno pagato è stata colpa di Fassino? – dice Renzi in relazione alla vicenda del capo di gabinetto della sindaca Chiara Appendino, dimessosi per aver chiesto alla partecipata dei trasporti di togliere una multa a un suo amico – hanno fatto un falso in bilancio, è colpa di Fassino”, aggiunge. Per poi allargare il discorso al concetto di populismo: “In Italia abbiamo due populismi diversi, quello di M5S e quello della Lega che ha attirato a sè il centrodestra di Berlusconi. Lasciate che vi dica – conclude Renzi – che l’unica forma di risposta al populismo siamo noi, è il nostro partito. Parlare di vitalizi e banche non è populismo, ma politica”.