È di poco più di un giorno fa la notizia che in seno al comitato olimpico si è iniziato a discutere sul riconoscere gli eSports (o competizioni videoludiche) come vere e proprie attività sportive, provocando ovviamente sgomento in quella fetta di popolazione per cui il videogame equivale ad alienazione, rincoglionimento, violenza, robe per sfigati, etc…
Se ci fermassimo alla definizione degli sport come mera attività fisica, coloro che se ne lamentano potrebbero anche avere ragione. Tra le discipline che il Comitato olimpico internazionale (Cio) negli anni ha riconosciuto come sportive però troviamo anche attività che richiedono uno sforzo prettamente mentale come gli scacchi e il bridge, quindi perché le “discipline elettroniche”, che oltre all’aspetto mentale richiedono anche una buona dose di riflessi e coordinamento motorio per eseguire le azioni corrette nel più breve tempo possibile, non dovrebbero avere il medesimo riconoscimento?
Un errore comune è reputare sullo stesso livello l’attività dei “pro-player” e quella di chi gioca ai videogame come passatempo: mettereste sullo stesso livello Lionel Messi in Champions League e un bimbo che gioca al parco solo perché usano entrambi un pallone? Ignorando che coloro che praticano le discipline elettroniche a livello competitivo, come riconosciuto a Losanna, sottostanno ad allenamenti e preparazioni in vista di competizioni e tornei con intensità abbastanza simili a coloro che praticano attività più “tradizionali”, in genere alternando fasi di tattica, studio dell’avversario e analisi delle proprie performance a fasi vere e proprie di gioco in cui si cerca di mettere in pratica quanto studiato o semplicemente di migliorarsi.
Quello che manca davvero agli eSports, come discusso anche alcuni mesi fa al Parlamento europeo, sono gli organismi/federazioni internazionali che si occupino della regolamentazione e della supervisione del corretto svolgimento delle competizioni, vedendo ad oggi queste funzioni svolte principalmente dai Tournament organizers e dalle case produttrici; causando, in particolare, un’assenza di uniformità di regolamenti e vedendo i produttori con la totale libertà di modificare il funzionamento di eroi, abilità o armi anche a stagioni competitive in corso. C’è da dire che alcuni paesi, Corea del Sud in testa, si sono portati avanti da anni vedendo nascere delle federazioni nazionali che si sono occupate di regolamentare le competizioni a livello nazionale; potremmo annoverare tra questi paesi anche l’Italia, se non fosse che all’interno del sistema dei vari enti di promozione sportiva del Coni si contano almeno tre entità diverse dedicate alla promozione degli sport elettronici.
Introdurre gli eSport alle Olimpiadi come discipline olimpiche? Forse un po’ forzato ma personalmente reputerei più indicati una serie di eventi paralleli in cui veder competere i “cyber atleti” in rappresentanza del proprio paese. In entrambi i casi, i veri problemi credo siano legati ai titoli protagonisti delle sfide: si scelgono i giochi in base alla popolarità o in base ai soldi che la casa è disposta a sborsare? Cosa succede se nei quattro anni prima dell’Olimpiade l’azienda che sviluppa uno dei titoli scelti fallisce? Si giocherebbe con l’ultima versione disponibile o si ci ferma a una versione decisa dal comitato olimpico?
Giusto per essere precisi, a discapito di quanto indicato da alcuni “titoloni” – I videogiochi sono sport e simili – non potete considerare la partitella su Candy Crush come sostituta della palestra!