"Nonostante la richiesta di condanna che il sostituto procuratore dottor Fabrizio Argentieri ha formulato per tutti gli imputati, la generale e totale assoluzione - commenta l'avvocato Alfredo Monteverde - ha escluso ogni fondamento all’impianto accusatorio. Dopo anni di sofferenze e sequestri milionari le tesi della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate sono state riconosciute prive di qualsiasi pregio giuridico"
“Il fatto non sussiste”. Con questa formula il Tribunale di Verbania ha assolto Marco e Massimo Giacomini dall’accusa di evasione fiscale. Nel gennaio del 2013 agli imprenditori erano stati sequestrati 40 milioni di euro, La presunta evasione riguradava un ramo della azienda che produce rubinetti. Il giudice Raffaella Zappatini ha stabilito che nessuno dei cinque imputati, i cugini Massimo e Marco Giacomini, Sofia Bertù, e i loro consulenti Francesco Sicher (avvocato) e Marco Garavaglia (commercialista) ha commesso il reato che gli era stato contestato dal sostituto procuratore Fabrizio Argentieri.
“Nonostante la richiesta di condanna che il sostituto procuratore dottor Fabrizio Argentieri ha formulato per tutti gli imputati, la generale e totale assoluzione – commenta l’avvocato Alfredo Monteverde – ha escluso ogni fondamento all’impianto accusatorio. Dopo anni di sofferenze e sequestri milionari le tesi della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate sono state riconosciute prive di qualsiasi pregio giuridico“.
La Giacomini Spa è un’azienda di successo: nata negli anni Cinquanta per volontà di Alberto Giacomini ma negli anni scorsi è diventato oggetto di un’aspra contesa tra i membri della famiglia. Nel 2008 erano stati estromessi dalla società i rami della famiglia facenti capo a Mario e Giovanni Giacomini (fratelli di Alberto), che avevano rinunciato alle proprie quote di partecipazione al trust di diritto del Jersey (con sede nel Lussemburgo) in cambio di un indennizzo da 200 milioni di euro. Secondo la ricostruzione dell’allora procuratrice capo Giulia Perrotti e del sostituto procuratore Fabrizio Argentieri, 70 milioni sarebbero arrivati dall’Italia (quindi regolarmente denunciati e tassati), i rimanenti 130 sarebbero invece stati prelevati dai conti lussemburghesi riconducibili al trust e incassati, esentasse, dai liquidati. Ed è proprio per costituire il trust che i fratelli Corrado ed Elena – secondo l’accusa non accolta dal Tribunale – si erano dati da fare per esportare capitali.