Il pontefice tenta il bis dopo il disgelo tra Washington e Cuba: vertice nella Santa Sede con 11 premi Nobel, i vertici di Onu e Nato e i rappresentanti di Usa, Corea del Sud e Russia. "Non è una mediazione" dice Burke. Ma l'operazione è in linea con gli obiettivi di dialogo globale di Bergoglio
Papa Francesco tenta il bis. Dopo aver favorito il disgelo tra gli Usa e Cuba, firmato proprio in Vaticano davanti al segretario di Stato Pietro Parolin, Bergoglio vuole scongiurare una guerra nucleare tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord. Per scongiurare il conflitto tra Washington e Pyongyang, il Vaticano ospiterà, il 10 e l’11 novembre, un vertice mondiale per il disarmo nucleare.
Tra i partecipanti sono previsti 11 premi Nobel per la pace, i vertici dell’Onu e della Nato e i rappresentanti degli Stati Uniti, della Corea del Sud e della Russia. Sarà proprio Bergoglio ad accogliere i partecipanti e ad aprire i lavori del vertice che ha come titolo “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”. Dalla Santa Sede, però, invitano giustamente a restare coi piedi per terra. “È falso parlare di mediazione. Non è una mediazione, non è neanche un summit, è un convegno di alto livello sul disarmo nucleare”, ha precisato il portavoce vaticano Greg Burke. Una sottolineatura più che doverosa anche perché quando, nel 2014, Francesco visitò la Corea del Sud, Pyongyang accolse l’arrivo del volo papale nell’isola lanciando tre razzi nel mare del Giappone.
C’è da dire, però, che è inevitabile che le parole di Francesco e soprattutto gli incontri bilaterali con i leader mondiali e il segretario di Stato Parolin avranno come obiettivo quello di tessere una preziosa opera di pacificazione su scala globale. Il tema del disarmo, infatti, è da sempre al centro del pontificato di Bergoglio che ha voluto intitolare il suo messaggio per la Giornata mondiale per la pace “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”. Un testo che il Papa non a caso ha donato a Donald Trump durante l’udienza privata che gli ha concesso in Vaticano il 24 maggio. Un faccia a faccia di 30 minuti avvenuto dopo il duro scontro a distanza tra i due leader durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane.
Del resto proprio parlando al Congresso americano, nel 2015, quando alla Casa Bianca c’era ancora Barack Obama, il Papa aveva chiesto l’abolizione della pena di morte e delle armi affermando che “essere al servizio del dialogo e della pace significa anche essere veramente determinati a ridurre e, nel lungo termine, a porre fine ai molti conflitti armati in tutto il mondo”. Parole che, al di là delle standing ovation del momento, almeno finora sono rimaste inascoltate. E ciò nonostante Francesco sia stato il primo Pontefice a prendere la parola al Congresso Usa. Un onore che non fu concesso nemmeno a san Giovanni Paolo II.
Tuttavia i rapporti tra il Vaticano e la Casa Bianca non sono ancora sereni. Recentemente, infatti, Bergoglio è tornato a criticare Trump bollando come una “disgrazia” il fatto che alcuni Paesi, come gli Usa, si stanno allontanando dall’Accordo di Parigi sul clima.Ora bisognerà vedere se la Casa Bianca ascolterà finalmente la Santa Sede. Parlando ai vertici europei, appena qualche giorno fa, Francesco ha evidenziato che “essere operatori di pace non significa solamente adoperarsi per evitare le tensioni interne, lavorare per porre fine a numerosi conflitti che insanguinano il mondo o recare sollievo a chi soffre. Essere operatori di pace significa farsi promotori di una cultura della pace. Ciò esige amore alla verità, senza la quale non possono esistere rapporti umani autentici, e ricerca della giustizia, senza la quale la sopraffazione è la norma imperante di qualunque comunità”. Per Bergoglio, infatti, “non è dunque questo il tempo di costruire trincee”.