Il Tribunale di Roma accoglie la richiesta di risarcimento di una coppia vittima del raggiro del racket dei bambini della onlus Airone di Albenga. Per la prima volta in Italia condanna la commissione adozioni internazionali per omessa vigilanza. La sua inerzia sulle denunce "ha contribuito a provocare i danni". Prosegue il processo penale a Savona
“È una sentenza che farà giurisprudenza”. Quasi esulta l’avvocato Pierfrancesco Torrisi, pur sapendo che in verità c’è poco da festeggiare, avendo condotto in prima persona una battaglia che nasce dal dolore. È successo che oggi, per la prima volta in Italia, è stata riconosciuta la responsabilità civile della Commissione Adozioni Internazionali (Cai) per omessa vigilanza. Questo si legge, nero su bianco, in una sentenza del Tribunale civile di Roma intervenuta sul caso delle adozioni truffa in Kirghizistan. Il giudice Assunta Canonaco ha condannato l’ente Airone Onlus e insieme la Cai, autorità di controllo sul settore afferente al governo, a rifondere a una coppia, i coniugi Falena-Lepre, 178mila euro oltre spese di giudizio.
Il caso risale al 2012 quando i coniugi e altre 20 coppie partirono alla volta dell’ex Repubblica sovietica, nella capitale Bishkek, per adottare dei bambini appunto tramite l’ente con sede principale a Savona, poi Bergamo e Roma. Adozioni rivelatesi poi irrealizzabili perché i bambini avevano una famiglia e non erano in stato di abbandono. La denuncia della coppia, cui erano state abbinate due gemelline, ha dato avvio all’indagine e ha portato alla radiazione dell’ente in questione. Dopo cinque anni questa sentenza riconosce “evidenti gravi irregolarità”.
A nulla sono valsi, si legge nella sentenza, i tentativi della coppia di segnalare le anomalie riscontrate durante l’iter all’autorità pubblica che sovrintende il funzionamento delle adozioni per conto di Palazzo Chigi. “Tra il settembre 2011 e il maggio 2012 – si legge – gli attori avevano inviato numerose mail sia all’associazione che alle autorità competenti, tra cui la Commissione adozione internazionale CAI, in cui erano segnalate numerose incongruenze nella procedura, chiedendo un intervento adeguato”. Non ottenendo una tempestiva quanto necessaria risposta. Tanto che “solo il 19 marzo 2013”, cioé a distanza di quasi due anni, provvederà alla revoca dell’autorizzazione all’ente “così contribuendo a provocare i gravi danni lamentati”.
Senza per altro “intervenire concretamente, senza sospendere le procedure in atto, senza informare le famiglie coinvolte, revocando l’autorizzazione all’ente solo nel marzo 2013, dopo oltre un anno, consentendo quindi all’Airone di continuare ad operare nel paese estero in danno degli attori”.
Ora sarà il Tribunale di Savona a stabilire se intorno alle adozioni fantasma girava un vero e proprio racket di minorenni spacciati per “orfani”, gestito dall’oggi latitante Alexander Anghelidi, imputato insieme ad altre 4 persone nel processo, tuttora in corso a Savona, per associazione a delinquere finalizzata alla truffa per la compravendita di bambini come ipotizzato dalla PM Daniela Pischetola.
Al momento una cosa è certa. Era noto, scrive la magistrata Canonaco nella sentenza di Roma, “che l’Ente Airone Onlus operava tramite un referente di fatto diverso da quello indicato alla Commissione, mentre non erano stati raccolti dall’ente accreditato documenti fondamentali quali le schede dei bambini”. La sentenza conferma quindi l’impianto accusatorio esposto anche dinnanzi al Tribunale penale di Savona. Ma intanto decine di coppie italiane coinvolte nella vicenda kirghiza attendono ancora giustizia e soprattutto sperano di sapere in quale stato versino i bimbi che hanno conosciuto e mai più rivisto, vittime innocenti di un ignobile raggiro.
“A nome della coppia assistita – dice l’Avvocato Pierfrancesco Torrisi – l’unica a essere oggi risarcita, si esprime ampia gratitudine alla Magistratura, nella quale si è sempre confidato”. Poche parole dai coniugi. “Continueremo a batterci affinché non accadano in futuro drammi simili, è necessario uno sforzo congiunto, da parte di tutti gli enti e le autorità preposte al controllo”, dichiarano i Falena. “Il percorso adottivo deve essere una strada di incontro e di amore, nella massima trasparenza ed efficienza, sempre protetto e nel rispetto della Legge per tutelare i minori e le famiglie”.