L’intervento di Ignazio Visco alla Giornata mondiale del Risparmio appartiene al novero delle occasioni sprecate. Più che per le polemiche politiche che ha suscitato la sua riconferma nell’incarico, con il maldestro tentativo elettoralistico del segretario del Pd Matteo Renzi di rifarsi una “verginità bancaria” a spese di Via Nazionale, il governatore avrebbe potuto approfittare dell’occasione per riaprire un dialogo con i cittadini cercando di spiegare cosa davvero non ha funzionato in questi anni e che cosa andrebbe fatto da subito per impedire che si ripetano casi analoghi a quelli di Mps, delle Popolari venete, delle quattro banche finite in risoluzione nel novembre 2015 e di altre banche e banchette sparse per la penisola.
Casi costati parecchio ai risparmiatori coinvolti, ai contribuenti chiamati a salvare alcune di queste banche e a quasi tutti i detentori di conti correnti che si sono visti scaricare addosso sotto forma di maggiori spese i costi dei salvataggi “privati”, quelli cioè ad opera del sistema bancario stesso. Occasione mancata perché il governatore della Banca d’Italia non ha speso una parola né su questi, né su quelli, limitandosi a una difesa d’ufficio dell’operato dell’istituzione da lui diretta e chiamando a propria discolpa il Fondo monetario internazionale che a fine del 2013, al termine di un’attenta analisi dei “dati relativi ai singoli intermediari”, aveva giudicato “il sistema bancario italiano particolarmente resiliente e l’azione di vigilanza robusta ed efficace”.
Come l’Fmi abbia potuto valutare l’azione di vigilanza della Banca d’Italia e, soprattutto, a che titolo lo abbia fatto non è dato a sapersi (non ci risulta che il Fondo che ha sede a Washington abbia poteri di controllo e supervisione sulle banche centrali dell’Eurosistema). Ma non è (solo) questo il punto: dalle parole di Visco emerge una volta in più lo scollamento tra quello che la Banca d’Italia interpreta essere il proprio ruolo a tutela del risparmio e quello che invece i cittadini pensano che debba essere. Visco, a modo suo, cerca anche di spiegarlo quando dice che “alla tutela del risparmio concorrono due ampie categorie di politiche pubbliche, quelle volte a garantire la stabilità del sistema finanziario e quelle a difesa del risparmiatore, quale consumatore di servizi finanziari”. La Banca d’Italia, da sempre, guarda alla stabilità del sistema finanziario e sull’altare di questa è disposta a sacrificare il “risparmiatore”, che deve essere tutelato da altri, vale a dire dalla Consob e dall’Ivass (l’autorità di controllo delle imprese assicurative).
Sulla base di questo ragionamento risulta più chiaro comprendere come mai negli anni scorsi siano finite nei portafogli della clientela delle banche in crisi così tante azioni e obbligazioni subordinate: le operazioni di rafforzamento patrimoniale sono state autorizzate e realizzate su invito stesso della Banca d’Italia per preservare la stabilità del sistema, altri avrebbero dovuto peritarsi di evitare che questi titoli venissero venduti a soggetti non in grado di comprenderne i rischi. Visco non lo dice, ma è su questo “cortocircuito” tra autorità di controllo che si è giocata (anche) la crisi bancaria degli ultimi anni: la mano destra non solo non sa ciò che fa la sinistra, ma se ne disinteressa esplicitamente. E il dettato Costituzionale? Il governatore della Banca d’Italia spiega come la tutela del risparmio sia “una materia oggi assai più complessa e articolata di quanto lo fosse nell’Italia del dopoguerra, quando fu prevista nella nostra Costituzione; richiede il contributo di una pluralità di attori, inclusi gli stessi risparmiatori”.
Peccato che in questi anni le autorità di controllo si siano ben guardate dall’agire di concerto e, quando invece hanno deciso di farlo, è stata una fortuna che non abbiano prodotto danni ancora maggiori a danno dei risparmiatori, come nel caso dei tentativi di portare in Borsa le due ex popolari venete: due operazioni che vennero autorizzate per le rispettive competenze da Banca d’Italia e dalla Consob, che diede anche il via libera a dei prospetti informativi palesemente fuorvianti e infarciti di dati falsi. Le due autorità, di concerto con il governo all’epoca presieduto da Matteo Renzi, decisero di immolare la tutela del pubblico risparmio sull’altare della stabilità finanziaria tentando di rifilare ai risparmiatori due banche ormai fallite. Fortunatamente i risparmiatori si mostrarono più saggi di coloro che oggi pretendono di educarli, quasi nessuno abboccò all’amo e i due tentativi di quotazione abortirono sul nascere. Oggi, nella Giornata mondiale del Risparmio, ci sarebbe piaciuto che qualcuno almeno chiedesse scusa.