Carles Puigdemont e i suoi 13 ministri indagati per ribellione dovranno presentarsi in tribunale tra giovedì e venerdì per essere interrogati. Lo ha deciso il giudice della Audiencia Nacional Carmen Lamela, che due settimane fa ha ordinato la detenzione provvisoria per presunta ‘sedizione’ dei leader indipendentisti Jordi Sachez e Jordi Cuixart. Un procedura parallela è stata avviata davanti al Tribunale supremo contro la presidente del Parlament catalano Carme Forcadell e 5 membri sovranisti della presidenza dell’assemblea. Tutti rischiano fino a 30 anni di carcere. Il magistrato ha contestualmente ordinato al president destituito e agli altri politici sotto inchiesta di versare entro tre giorni una ‘garanzia’ di 6,2 milioni di euro, come chiesto dalla procura dello Stato spagnolo. Altrimenti, ha avvertito, i loro beni saranno pignorati.

Sono questi gli ultimi sviluppi giudiziari della vicenda legata all’indipendenza proclamata dalla Catalogna e alla reazione di Madrid, che hanno portato Puigdemont a rifugiarsi momentaneamente in Belgio, da dove oggi ha detto di essere pronto ad affrontare il carcere purché il “processo sia giusto ed equo”. Per il momento – come confermato dal suo legale – non chiederà asilo politico a Bruxelles, senza comunque escludere del tutto l’opzione. “Un mandato d’arresto europeo può sempre essere emesso” dalla Spagna, ha sottolineato l’avvocato del leader catalano. “Fino a quando ci sarà il rischio che la Spagna chieda che Puigdemont sia consegnato non si può escludere che chieda asilo politico – ha aggiunto – Quello che fa Puigdemont è perfettamente legale: ogni spagnolo è libero di venire in Belgio. Inoltre ha precisato lui stesso di aver scelto Bruxelles per beneficiare di un foro europeo”.

L’incriminazione del presidente destituito, intanto, viene fortemente criticata e i politici catalani sottolineano come la strategia del procuratore generale Juan Manuel Maza possa essere figlia della sua vicinanza al ministro della Giustizia spagnolo Rafael Català. La strategia viene definita “inaudita” e “giuridicamente infondata” dall’avvocato del President Jaume Alonso Cuevillas, soprattutto perché rappresenta una lettura ‘politica’ dell’articolo 472 del codice penale post-franchista modificato dal Parlamento nel 1995, secondo il quale perché si possa parlare di “ribellione” deve esserci un “sollevamento pubblico e violento”. Che in Catalogna non c’è stato.

Contro l’incriminazione si è schierato anche il costituzionalista Diego Lopez Garrido, ex deputato socialista ed ex segretario di Stato di José Luis Zapatero, uno dei padri della riforma del codice penale: la “ribellione”, ha detto a Punt Avui, esiste solo “nell’immaginazione” di Maza, che da due mesi guida l’offensiva della giustizia e della polizia spagnole contro il Govern catalano. “Non abbiamo mai usato la violenza, e ci equiparano ai terroristi”, denuncia anche il ministro degli Interni del Govern destituito Joaquim Forn, ricordando che in Spagna il reato di ribellione è equiparato a quello di “terrorismo”.

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