Le acciaierie toscane sono la storia simbolo attraverso la quale comprendere la differenza tra ‘annunciare’ e ‘risolvere’. Il 9 dicembre 2014 l’attuale segretario del Pd parlava da presidente del Consiglio: “È un’acquisizione strategica. Piombino è un pezzo di futuro dell’Italia”. Il salvataggio del siderurgico raggiunto quel giorno finiva nel calderone degli altri grandi successi: autoriciclaggio, Terni, Ilva, la nomina di Guerra e il Jobs Act. “Tutto in una settimana”, riassumeva Renzi. Alla brevità del tweet, è seguita una prova dei fatti lunga tre anni: i sindacati hanno incontrato il ministro Carlo Calenda per capire quali sono le intenzioni dell’acquirente Aferpi, controllata dalla Cevital dell’algerino Isaad Rebrab. L’allontanamento dell’ormai ex ‘cavaliere bianco’ è sempre più probabile. Oggi l’ex Lucchini è ancora ferma, gli investimenti latitano e gli operai si barcamenano tra solidarietà e cassa integrazione. Venerdì 27 ottobre si sono arrampicati sul tetto srotolando uno striscione eloquente: “Aferpi inadempiente. Governo compiacente?”. I termini imposti per la ripartenza sono infatti scaduti a giugno. Il commissario straordinario Nardi ha firmato un addendum dando altri tre mesi per riavviare i lavori e trovare un partner strategico. La proroga scade oggi e soluzioni non se ne vedono: Cevital cederebbe anche il passo, ma vuole monetizzare. Il prezzo però non attira nessuno, nemmeno l’indiana Jindal alla quale il governo preferì Cevital e che è da tempo alla ricerca di un cavallo di troia per entrare nel mercato europeo dell’acciaio. “Il tempo passa e Piombino attende risposte non più rinviabili”, hanno detto i leader sindacali. Calenda pare pronto a risolvere il contratto con Rebrab: il “pezzo di futuro dell’Italia” è ancora in bilico.
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Il flop di Piombino: crisi senza fine - 2/6
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