L’Ilva si trova in una situazione simile a quella dell’ex Lucchini nel dicembre 2014. Ci sono una futura proprietà e promesse di investimento per oltre 5 miliardi di euro. Ma i nodi da sciogliere sono diversi e la trattativa con i sindacati (vincolante per la cessione) deve ancora iniziare. Le posizioni sono lontane: Arcelor Mittal e Gruppo Marcegaglia prevedono 4mila esuberi e avevano proposto l’azzeramento dell’anzianità e del contratto integrativo. Cgil, Cisl e Uil insistono perché nessun lavoratore passi sotto l’ombrello di Ilva in amministrazione straordinaria che darà – di fatto – un futuro lavorativo a tempo: le garanzie finiscono nel 2023. E c’è poi il tema dell’indotto, che oggi occupa più di 3mila addetti solo a Taranto: perfino la Confindustria jonica si è detta scettica sul futuro e ha chiesto garanzie. Il via al negoziato è previsto il 9 novembre, mentre Comune di Taranto e Regione Puglia chiedono di essere coinvolte e contestano il piano ambientale. Dieci giorni fa il segretario del Pd ha detto a Narni, durante il suo viaggio in treno, che “ci sono troppi esuberi”. L’iter del bando di gara è stato seguito – e rimandato diverse volte – dal suo governo, poi la scelta è arrivata quando ormai aveva lasciato Palazzo Chigi. La linea – ha detto comunque dalla provincia jonica negli scorsi giorni dopo l’incontro con i rappresentanti sindacali – è “chiara”: “L’azienda deve funzionare facendo la bonifica ambientale, migliorando l’impatto sanitario, tutelando i posti di lavori e aumentando correttamente la produzione”. Aspetti sui quali i tecnici nominati dai commissari straordinari per valutare le offerte arrivate per l’Ilva erano stati molto critici, ritenendo “incoerente” investimenti e risultati prospettati dai vincitori.
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I nodi dell'Ilva dagli esuberi alle bonifiche - 3/6
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