Ma quale dolcetto e scherzetto: quando il marketing ci mette lo zampino (è toccato pure al caro Babbo Natale, vestito di rosso Coca-Cola) puntualmente snatura temi tutt’altro che superficiali, che affondano le loro radici sin nella notte dei tempi. Mi perdonino piccoli e bambini a cui le mamme hanno comprato orripilanti mascherine di un Carnevale anticipato che s’apprestano oggi a festeggiare, ma stanotte più che l’Halloween della ‘Zucca made in Usa’ è il Samhain, il Capodanno dei Celti.
Radicato nel concetto di ciclicità del tempo, si tratta del tradizionale passaggio dell’autunno all’inverno (da non confondere col solstizio d’inverno, 21 dicembre), del cosiddetto momento del Terzo Raccolto, quando le antiche popolazioni di pastori del Nord Europa sacrificavano parte del gregge facendo delle carni (sotto sale) le preziose provviste da conservare per i mesi invernali. Da qui s’arriva alla festa dei morti, il tema principale per quegli antenati, spiritualmente (e non solo), parte integrante della vita sociale della comunità, nel perenne ritorno di morte e rinascita.
Quando l’antico popolo romano, radicato nel mos maiorum, incontrò i Celti, l’evidenza di una similitudine della festa del Samhain ricadde sui Lemuria, la festa delle anime dei morti protettori della famiglia (i Lari), il cui rito veniva celebrato a Roma dal pater familias per rievocare il fondatore dell’Urbe Romolo che lo aveva eseguito per placare lo spirito irato del fratello (ucciso) Remo. Ecco il perché dell’uso delle maschere, delle rivisitazioni e dei travestimenti per accaparrarsi l’energia di entità magiche e soprannaturali, che per analogia rimandano ai Celti e alle tradizioni dei popoli nativi, degli sciamani, dei gruppi Asatrù o ai costumi del folklore degli Haensele e Uberlingen, in uso ancora oggi a sul lago di Costanza tra Svizzera, Liechtenstein e Germania.
Richiamato dal fascino non solo di kilt e cornamuse, per conoscere più da vicino Samhain e cultura celtica, tempo fa me ne andai sulle rive dell’Atlantico per assistere al Festival Interceltique di Lorient (in Bretagna, se scrivo Francia si offendono) per deviare poi sulle tracce di maghi, fate e folletti, nella suggestiva foresta di Broceliande dove si trova la “tomba” del druido Merlino e si dice che la bella Viviana custodisca gelosamente la spada di Excalibur. Ricordo paesi remoti, casette sperdute nel nulla, persone semplici, generose e genuine che ancora custodiscono il segreto inviolabile di una cultura millenaria, tra Menhir e Dolmen.
Dopo l’estate (il Festival Interceltico si celebra ad agosto) arrivò il primo freddo: era la notte del 31 ottobre quando finii in un locale immerso in una suggestiva campagna, convenuto all’appuntamento per una grande festa illuminata dalla luna e da un grosso falò acceso all’esterno. In un atmosfera surreale, la sola luce delle candele squarciò il tetro del pub di quella serata magica, accompagnata dalle note di Folk Music celtica (arpe, cornamuse, violini e flauti) nel momento in cui il mio straordinario compagno di viaggio mi portò un calice di buon idromele (miele fermentato), sussurrandomi all’orecchio: “Buon Samhain!”.
Mi sembrò di stare come in un film, senza però recitare alcuna parte, sicuro di rivivere l’atmosfera di in un’epoca profondamente diversa dall’attuale: capii che Halloween era solo una brutta parodia di un sentire diffuso tra quanti, ancora oggi, vogliono spingersi oltre gli inganni della materia. Anche nel ricordo dei propri antenati. Buon Samhain a tutti!