FINCHÉ C’È PROSECCO C’È SPERANZA di Antonio Padovan. Con Giuseppe Battiston, Teco Celio, Silvia D’Amico. Italia 2017. Durata 90’ Voto 1,5/5 (DT)
Colline trevigiane, tra i filari di Prosecco, ai nostri giorni. L’ispettore Stucky deve risolvere il suo primo caso ufficiale che sembra collegare il suicidio del conte Ancillotto, produttore anarchico di uno dei miglior vini della zona, con l’omicidio di un noto imprenditore del cemento. In mezzo c’è una bella morettina veneziana dai modi spicci e un fascicolo sull’inquinamento ambientale che pare ritoccato per fare piacere all’industriale ucciso. Tratto dall’omonimo romanzo di Fulvio Ervas, Finché c’è prosecco c’è speranza è letteralmente una puntata di una qualsiasi convenzionale fiction tv proiettata su grande schermo, oltretutto con parecchie trovate formali e di casting da chinarsi sotto la poltrona per l’imbarazzo. Ne citiamo tre. La macchina da presa che traballa tutte le volte che entra in scena il matto del paese. Le impalpabili figure di contorno, come ad esempio la figlia argentina di Ancillotto tornata per l’eredità, semplicemente fuori posto ogni oltre umana accezione della recitazione. Anche se il ridicolo, non si sa quanto involontario, lo si tocca nel mettere in scena la sequenza della mesta e solenne entrata in paese del corteo della “confraternita del prosecco”. Il silente mistero degli anziani con bastone si sfarina dopo tre secondi: prima con a fianco sei tremende comparse sorridenti ai tavolini di un bar che non sembrano accorgersi di nulla; poi una volta entrato il corteo nella cripta buia a cui non sembra poter accedere nessuno (Battiston se ne sta in un angolo come Tom Cruise nell’orgia di Eyes Wide Shut) i segreti del gruppo vengono elencati a voce alta da comparse passate di lì e soprattutto sullo sfondo c’è una porta aperta che dà sulla piazza del paese. Film inguardabile se non fosse per il povero Battiston, l’unico a dare spessore ad un’operazione simpatia etilica altrimenti nulla.