È il febbraio del 2015 quando in Australia, a Sydney, arriva Gerardo Rispoli. Ha 22 anni, è solo, e non sa una parola d’inglese: “Sì, avevo deciso di partire – racconta –. Dopo tante delusioni sul lavoro avevo capito che in Italia non riuscivo a crescere, non c’erano possibilità per me”. Oggi, dopo tre anni, Gerardo lavora stabilmente come cuoco nella città australiana. “Il mio Paese? Mi manca, ma la vita a volte ti costringe a scelte difficili”.

Originario della provincia di Salerno, Gerardo ha deciso di partire dopo l’ennesima delusione lavorativa. “È stata una reazione inaspettata da parte di tutti – ricorda – ho fatto il visto e il biglietto, e in un mese era tutto pronto per andare via. Mia mamma scoppiò in lacrime”. I primi giorni a Sydney sono stati duri. “Duri e indimenticabili – racconta Gerardo – A causa del fuso orario mi svegliavo nel cuore della notte. Vagavo per la città, mangiavo a orari sbagliati”. La sua prima sistemazione è stata una stanza di 3 metri per 4 con due letti a castello, condivisa con altre tre persone “di cui non conoscevo la lingua”, ricorda. Col tempo, però, è riuscito a ritagliarsi un ruolo tutto suo: ha trovato lavoro grazie a Facebook in una pizzeria gestita da italo-australiani a trenta chilometri da Sydney. “È stato difficile, ma mi dovevo arrangiare”.

Ho fatto il visto e il biglietto, e in un mese era tutto pronto per andare via. Mia mamma scoppiò in lacrime

Gerardo ha lavorato fin da giovanissimo come pizzaiolo: “All’estero siamo considerati preziosissimi – spiega –. E come esponenti della cucina italiana oggi siamo apprezzati come non mai”. Il mondo del lavoro, spiega il giovane campano, è totalmente diverso da quello italiano. “Qui in Australia sembra che tutti lavorino secondo turni statali. Ci sono orari precisi da rispettare, lavori pagati a ore, altri a settimana”.

La vita in città è sempre velocissima: serve correre, stare al passo ed essere svegli. Si imparano cose nuove ogni giorno. “Il tempo vola, conosci persone, culture e religioni diverse”. La giornata tipo dipende dai turni settimanali. Palestra al mattino, pranzo veloce nelle grandi “food court” cittadine, e poi al lavoro dalle 15 fino alle 22. “Qui molti ristoranti e pizzerie chiudono presto, non è come in Italia, dove si usa stare fino all’una di notte in cucina”. Dopo lavoro, magari, si va fuori a bere con gli amici. E poi si riparte.

Il costo della vita a Sydney è nettamente più alto rispetto a quello di una grande città italiana. Ma è il sistema a seguire regole totalmente differenti. Come i pagamenti settimanali per la retribuzione, l’affitto o la sanità, “molto costosa specialmente per noi stranieri”, spiega Gerardo. O una pizza margherita, che va dai 17 ai 20 dollari. “Anche la retribuzione però è più alta: posso dire che se una persona decide di arrivare qui con le idee chiare può mettere da parte un bel gruzzoletto per il futuro”. Senza considerare la conoscenza dell’inglese: “Stando qui ho imparato l’inglese che, oramai, anche nelle zone più povere del mondo è diventato come una seconda lingua”.

Non so se rimanere. Purtroppo l’Australia ti costringe a una serie di svantaggi

Futuro? Oggi, dopo tre anni di permanenza in Australia, Gerardo ha trovato un lavoro stabile, vive in una casa condivisa con la sua fidanzata, si sposta in motorino ed è riuscito a visitare il resto del continente asiatico già tre volte. Insomma, gli si è aperto un mondo. “Non so se rimanere – confessa –. Purtroppo l’Australia ti costringe a una serie di svantaggi”. In primis la lontananza: per tornare serve un volo di almeno 24 ore. E poi la nuova linea del governo nazionale: “Qui prima di aiutare gli stranieri pensano a dare lavoro ai residenti: per questo la vita per noi expat si sta facendo sempre più difficile”, racconta.

Il ricordo dell’Italia è vivido. Così come la voglia di tornare. “Ci sono cose che capisci solo quando sei via: la cucina italiana, la musica e il modo di vivere italiano sono apprezzati in tutto il mondo. Tutto il mondo ci ama – continua –. Ogni giorno incontro persone che sono state in Italia e che mi chiedono cosa ci faccia qui, io, da cuoco, con un Paese come il nostro”. Da quella partenza nel 2015 Gerardo è tornato a casa solo una volta. “Ho lasciato il mio fratellino quando aveva tre anni, oggi ne ha cinque e praticamente non l’ho ancora rivisto. Ma la vita, a volte, ci costringe a delle scelte difficili. E per andare avanti – conclude – devo camminare su questa strada”.

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