Se c’è una cosa che non manca a Selvaggia Lucarelli è l’autoironia. La belva assetata di ‘haters’ online sa prendersi in giro nelle sue sfighe e imperfezioni come un consumato entertainer. Per questo una lettura in apparenza più che leggera, anzi letteralmente svolazzante, come Dieci Piccoli Infami (Rizzoli) risulta un buffo diversivo del filone “chick lit”. Lucarelli ride di sé con disinvoltura (anche se gli episodi se li fosse inventati poco cambia, anzi) e intanto spara la sua fiocinata contro dieci nefaste figure del suo passato sistemandole per le feste.
Mi avete rovinato l’esistenza in un determinato momento in cui sembrava che invece accadesse il contrario? Ebbene, adesso io me te magno. C’è il fidanzato precisino, al quale del resto Lucarelli si era aggrappata come un koala compreso il figlio, che vive in una patologica ossessione di pulizia e lindore casalingo fino a rendere invivibile anche solo mangiarsi un panino sul divano davanti alla tv. C’è il parrucchiere fin troppo sicuro dei suoi terrificanti intrugli ultramoderni che le distrugge l’acconciatura del secolo. C’è anche la suora cattiva che bacchetta sulle mani come la Pinguina dei Blues Brothers e che le distrugge l’infanzia. Anche se a rimbalzare come una Big Babol rosa ad altezza occhio e memoria del lettore sono quelle vere e proprie figure di merda da adolescenti in cui è facile intuire sono incappati la Lucarelli come milioni di individui non simili a George Clooney o Claudia Schiffer.
L’uscita con l’amica alla festa coi ragazzi più grandi che finisce in tragedia giù per un burrone, la nuova compagna di classe che in un amen le ruba l’amica di scuola più cara, la corsa a diventare miss di paese per vincere un televisore. Lucarelli si autodistrugge e si mette clamorosamente a nudo (su tutti i “capelli di merda” e la “cacca di topo sulla guancia”) provando a far ridere riga dopo riga quasi più di un comico da instant book. Una perdita dell’innocenza sincera e improvvisa quella che l’autrice propone nel suo libro, che è anche uno scavo nel grumo di ripicche e di astio adolescenziale, atteggiamento chiaramente ripetuto e poi mai superato dall’età adulta (di chiunque). Perché i personaggi “che meritavano una resa dei conti” la Lucarelli li ha incontrati da ragazzina come da signora matura, con un tasso di sdentate e figure barbine pressoché identico.
E se nel 2004 con Mantienimi – Aiutami a preservare la mia moralità (Mondadori) si era trascinata dietro, of course, la generazione under 35, dispensando consigli di sopravvivenza alle fanciulle tra uomini pallosi e richieste di menopausa anticipata; oggi con Dieci piccoli infami è il lettore under45 a gettarsi in un’autentica immersione da preistoria adolescenziale fatta di sale giochi e banconote da diecimila lire trasformate in gettoni per farle funzionare, Pac-Man e Dungeons&Dragons con manovella e pulsantiera premuti con frequenza a mille, il Tegolino come massima trasgressione alimentare, i diari di scuola come scrigni personali al posto dell’odierna schermata di WhatsApp. Così nel suo essere tremendamente pop e colloquiale il libro della Lucarelli sa riportare il quotidiano ad altezza pianerottolo, aggiungendo un ulteriore elemento filosofico più socioculturale che va persino oltre la boutade autobiografica in sé. Quel senso di affermazione identitaria e di avvenuta scalata sociale, partendo dal fondo di un comune paesello di provincia che segna a vita. Stangare comicamente il belloccio che non ti fuma nemmeno di striscio, e che per non si sa quante ore ti ha guardato il culo perché avevi la gonna sollevata e non te ne eri accorta, è un modo come un altro di esorcizzare il passato, osservandosi e mettendosi di fianco ad un lettore comune fino a confondersi. Sempre con il sorriso sulle labbra.