Il regista di Atlanta racconta l'America degli ultimi in una commedia pop con non poche incursioni nel grottesco, seppur mai ostentato. Non entrerà nei suoi top title, ma quanto a capacità di divertire si posiziona senza dubbi fra i primi della lista
“Assomiglia a una versione più grezza di Ocean. Quella che puoi trovare sui blocchi di cemento nel cortile di casa”. Nessuno avrebbe potuto sintetizzare meglio l’essenza di Logan Lucky del suo stesso regista. Perché Steven Soderbergh è ontologicamente sorprendente, anche quando fa il critico di se stesso. Il pasionario della Settima Arte più folle di Hollywood – un po’ in & off a seconda dei momenti – ha scelto di adottare per la propria regia la sceneggiatura di un’amica (Rebecca Blunt) e dirigerla come fosse, appunto, un Ocean alla rovescia. Quanto di glamour e tecnologicamente avanzato trovavamo nei personaggi della famosa trilogia action-criminal, qui si ribalta in provinciale, sporco, difettoso se non disfunzionale.
Logan è il cognome di tre fratelli – due maschi e una femmina – della profonda provincia americana al confine tra il Nord Carolina e il West Virginia. Il disoccupato ma tuttofare Jimmy (Channing Tatum) è zoppo, separato con una figlia piccola che lo adora, il barista Clyde (Adam Driver) è monco di un braccio perso combattendo in Iraq, e Mellie fortunatamente è tutta intera ma vive all’ombra dei fratelli lavorando da parrucchiera in un saloon di pettegole. Alla vigilia della tradizionale gara automobilistica Coca Cola 600 Jimmy decide che è il momento di dare una svolta alle casse di famiglia, mettendo a punto un piano per rapinare il caveau sottostante lo stadio.
Immaginando la filmografia di Sodebergh quale una mappa di titoli creativamente interconnessi, Logan Lucky si posiziona decisamente nel quadrante della commedia pop (come appunto gli Ocean) con non poche incursioni nel grottesco, seppur mai ostentato. I protagonisti sono tutti freak, diversamente ossessivi, certamente marginali a qualunque forma di potere, totalmente genuini a prescindere dai rapporti più o meno limpidi con la legge. Il loro è l’universo che cantava John Denver – con una sua canzone infatti si apre il film – si adattano a lavori umili o sopravvivono di mezzucci, sono residuali di un Paese che spesso li usa e poi li lascia al proprio destino. Se i personaggi degli Ocean s’illuminavano di bellezza, furbizia e coolness, quelli di Logan Lucky rivelano la loro stampa al negativo, ma portano con sé quale patrimonio positivo un’amabile umanità. Logan Lucky è infatti anche un film sulla fratellanza, sia di sangue che acquisita, ovvero sulla capacità di creare forme di collaborazione inizialmente opportunistiche che mutano in virtuose.
Con Logan Lucky l’America degli ultimi spicca il suo volo comico e “difettoso” firmato dal prolifico (e sempre riluttante a mostrarsi) regista di Atlanta: non entrerà mai nei suoi top title, ma quanto a capacità di divertire si posiziona senza dubbi fra i primi della lista. Anzi della “mappa”. Il film uscirà in Italia nel gennaio 2018.