Container e casette per evitare una nuova Curtatone. “Moduli abitativi”, all’occorrenza anche “prefabbricati”, “preferibilmente in contesti diffusi nel territorio” o “in alternativa, in un unico complesso” al costo per le casse pubbliche di 730 euro a persona al mese. Nel “territorio cittadino” o “area metropolitana (provincia, ndr)”. Una “soluzione da baraccati” e “degna di un campo rom” che viene fortemente censurata dall’Unione Inquilini e dai Movimenti per la Casa, pronti a dare battaglia. La città di Roma si prepara ad assistere a due nuovi maxi-sgomberi in programma nelle prossime settimane, due complessi occupati in zone piuttosto centrali come Viale del Policlinico (Castro Pretorio) e Via Carlo Felice (San Giovanni) che al momento ospiterebbero molte di più delle 100 persone “in condizione di fragilità” stimate dagli uffici del Campidoglio. Il rischio è di replicare i fatti del 19 agosto scorso, quando l’operazione della questura di Roma in uno stabile occupato di piazza Indipendenza, a due passi dalla stazione Termini, spinse per giorni in strada centinaia di rifugiati eritrei, con scontri ripetuti con le forze dell’ordine e un comune impreparato a produrre alternative immediate. Circa 60 fra rifugiati e italiani, invece, sono ancora accampati a Piazza Santi Apostoli, a più di due mesi dallo sgombero di un edificio in zona Cinecittà, nonostante gli appelli alle istituzioni che vanno avanti da settimane.
UN “CENTRO D’ACCOGLIENZA” PER SGOMBERATI
Le pressioni della Prefettura per liberare i due stabili sarebbero così forti da indurre la direttrice del Dipartimento capitolino alle Politiche Sociali, Michela Micheli, a sottoscrivere il 23 ottobre scorso una determinazione dirigenziale per il “reperimento di strutture di accoglienza temporanea” tali da “ospitare nuclei familiari in condizioni di grave vulnerabilità sociale”, per un massimo di 100 persone e fino al 30 novembre 2018. Quello che salta subito all’occhio leggendo il provvedimento è che si cercano “moduli abitativi, anche prefabbricati”, termini che lasciano pensare a situazioni di precarietà strutturale probabilmente poco adatte a chi attende da tempo una soluzione alloggiativa più o meno stabile. “Stanno ripristinando le baracche” afferma senza mezzi termini al fattoquotidiano.it Massimo Pasquini, segretario nazionale di Unione Inquilini, che nel frattempo su Facebook invoca un “Vaffa Day” per la sindaca Virginia Raggi. “Tutti sappiamo che queste soluzioni non saranno mai temporanee. Si vuole tornare a prima del sindaco Petroselli – aggiunge – quando i romani che non potevano permettersi un’abitazione vivevano in rifugi di fortuna. Ben che vada, si esce dal sistema dei Caat per crearne altri”. Anche l’importo del bando fa discutere, essendo stato quantificato in 890.000 euro, calcolati a 20 euro al giorno più Iva per persona, circa 730 euro al mese a ospite, cifra con la quale di solito in città si riesce ad affittare un appartamento più che dignitoso per un nucleo familiare da 3-4 persone. Fra le 67 cooperative e onlus invitate a partecipare c’è anche la Eriches 29, fondata da Salvatore Buzzi (condannato a 19 anni di carcere nell’ambito dell’inchiesta Mondo di Mezzo) e sotto gestione commissariale dal dicembre 2014.
UN PROBLEMA SOCIALE O ABITATIVO?
Esiste poi un problema “burocratico” ma sostanziale. Come avvenuto per l’emergenza di piazza Indipendenza, ad occuparsi della vicenda sarà il Dipartimento Politiche Sociali e non quello delle Politiche Abitative. Ciò vuol dire che ad usufruire dell’assistenza capitolina saranno solo i “nuclei familiari in gravissime condizioni di fragilità”, frase con la quale si intendono madri con bambini piccoli o persone con disabilità, e solo “eccezionalmente” potranno essere coinvolti “singoli”. La questione non è di poco conto. In occasione dello sgombero di Via Curtatone, le soluzioni comunali prevedevano la separazione dei nuclei familiari e l’allontanamento dalla città. In seguito a quella crisi, il ministro dell’Interno, Marco Minniti, aggiornò la circolare sugli sgomberi delle occupazioni, al cui articolo 11 ora si prevede che si debba effettuare una mappatura per individuare immobili pubblici e privati da utilizzare prima degli sgomberi. Censimento su cui gli uffici capitolini stanno ancora lavorando, nell’ambito del lavoro impostato dall’ex assessore Andrea Mazzillo e oggi ereditato dalla nuova delegata Rosalba Castiglione. Fra le ipotesi c’è anche quella di utilizzare i beni immobili sequestrati alle mafie, anche se si tratta di un’idea non facile da concretizzare sul piano operativo.
LE PRESSIONI INCROCIATE DI PREFETTURA E MOVIMENTI
Le pressioni per liberare gli edifici sono moltissime. Nelle scorse settimane gli occupanti hanno respinto le ispezioni della commissione stabili privati Dipartimento capitolino Urbanistica, incaricato di verificare lo “stato pericolante” degli immobili, con il timore che le verifiche potessero dare il via a degli sgomberi immediati. Il 21 ottobre scorso, durante una riunione in prefettura, inoltre, si è fatto ampio riferimento alle occupazioni di via del Policlinico e via Carlo Felice. L’idea è quella di proseguire con gli sgomberi lungo la lista dei 74 immobili indicati dall’ex commissario straordinario, Francesco Paolo Tronca, in cui tra l’altro vivono da occupanti circa 3.000 rifugiati politici ma non bisogna ripetere la crisi di via Curtatone. Dall’altra parte ci sono i Movimenti per la Casa, legati all’estrema sinistra romana, che gestiscono queste occupazioni e che giovedì 2 novembre alle ore 15 saranno in Campidoglio per protestare contro la gestione dell’emergenza abitativa da parte della giunta Raggi. “Un Vaffaday popolare e collettivo”, lo ha definito la sindacalista Pasquini. Decisiva per i prossimi passi sul fronte sgomberi, invece, sarà una riunione in questura prevista per venerdì mattina e alla quale parteciperà anche il delegato capitolino alla Sicurezza, Marco Cardilli. .“Sino a oggi – ha spiegato l’assessore alle Politiche Sociali, Laura Baldassarre – abbiamo programmato sulla base delle risorse finanziarie di Roma Capitale, ma auspichiamo che anche la Regione Lazio fornisca l’apporto richiesto per erogare i livelli assistenziali, come previsto dalla legge. Nel complesso riformiamo radicalmente un sistema che aveva raggiunto un punto di non ritorno”.