Progettisti e collaudatori della Torre Piloti di Genova, oltre ai datori di lavoro delle vittime tra cui l’ex comandante delle Capitanerie di porto Felicio Angrisano, devono andare a processo. È questa la decisione della procura del capoluogo ligure nei confronti di 18 tra persone e società al termine dell’inchiesta bis sul collasso della torre all’imbocco del porto di Genova, avvenuta la sera del 7 maggio 2013 a causa dell’impatto con il cargo Jolly Nero. Quella notte morirono in 9. L’inchiesta – nata dalla denuncia di Adele Chiello, mamma di Giuseppe Tusa, morto nel crollo – era stata chiusa a giugno e vede gli indagati accusati a vario titolo di omicidio colposo, disastro e omissione impropria.
Secondo il pm Walter Cotugno, che aveva chiesto una prima archiviazione respinta dal gip, la torre piloti di Genova venne “costruita a cavallo della banchina senza tenere conto delle azioni non ordinarie incidenti sulla struttura – scrivono i pm – come ad esempio l’urto delle navi in manovra nello spazio acqueo antistante al manufatto ed in assenza di qualsiasi protezione“. Le persone indagate sono il commissario e i dirigenti tecnici del Consorzio autonomo del porto di Genova – Gino Capocaccia, Angelo Spaggiari, Paolo Grimaldi, Edoardo Praino – che avevano redatto il progetto precontrattuale per la costruzione; il presidente e i membri della sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici che espressero parere favorevole al progetto – Ugo Tomasicchio, Mario Como, Antonio Rinaldi, Giuseppe Parise – oltre al progettista Bruno Ballerini e al collaudatore Giorgio Mozzo.
Nell’inchiesta sono entrati anche i datori di lavoro delle vittime e i responsabili della sicurezza. Sono così stati iscritti l’ammiraglio Angrisano, all’epoca a capo della Guardia costiera genovese, e l’ufficiale Paolo Tallone della Capitaneria di Porto, Giovanni Lettich e Sergio Morini della corporazione Piloti, Gregorio Gavarone e Roberto Matzedda della società Rimorchiatori riuniti. Stando a quanto ipotizzano dai pm, i datori di lavoro non adottavano “le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori” facendo continuare a lavorare i dipendenti nella torre “omettendo di valutare il notorio rischio derivante da urti delle navi in manovra legati ad avarie e ad errori umani”, oltre ad omettere “di aggiornare il documento di valutazione dei rischi senza predisporre alcuna misura idonea a tutelare l’integrità dei dipendenti”.
Nel filone principale d’indagine, quello legato all’impatto tra il cargo Jolly Nero della compagnia Messina e la torre, sono stati condannati in primo grado il comandante Roberto Paoloni a 10 anni e 4 mesi di carcere, il primo ufficiale Lorenzo Repetto a 8 anni e 6 mesi, il direttore di macchina Franco Giammoro a 7 anni e il pilota Antonio Anfossi a 4 anni e 2 mesi. E nelle motivazioni della condanna, la giudice Silvia Carpanini sottolineava anche che “non può non tenersi in considerazione che forse altre responsabilità potrebbero individuarsi a carico di chi ha permesso” la costruzione di quel gigante che controllava il porto “in una posizione così esposta, senza che venisse adottata alcuna cautela”.