Dal suo letto nell’Unità spinale unipolare di Torino, Marisa vede il cielo attraverso una finestra. Paralizzata dal collo in giù, i suoi occhi sul mondo sono ormai quelli del marito Vincenzo D’Ingeo e dei figli Viviana e Danilo. Marisa Amato è la ferita più grave tra le 1526 persone ospedalizzate dopo gli incidenti del 3 giugno in piazza San Carlo a Torino, durante la finale di Champions League Juventus-Real Madrid, per i quali perse la vita Erika Pioletti, 38enne di Domodossola. Sono passati cinque mesi da quando la folla in fuga dalla piazza ha travolto Vincenzo e la moglie. Le sue condizioni restano stabili con una diagnosi di tetraplegia totale.
Sposati da quarant’anni, quella sera escono per mangiare una farinata. Dopo cena decidono di fare una passeggiata: imboccano via Santa Teresa per andare verso il centro, ma all’incrocio con via XX settembre ci ripensano e tornano indietro. All’improvviso un boato, delle urla e alle loro spalle una enorme, incontenibile folla che scappa nella loro direzione. Non fanno in tempo a capire cosa stia accadendo, da chi fugga quella bolgia e si ritrovano per terra, schiacciati da centinaia di piedi, senza la forza di reagire. I medici che soccorrono Vincenzo dicono che ha gravi lesioni ai polmoni e che difficilmente ce la farà. Marisa è fuori pericolo di vita, ma deve essere operata al cuore. Nei due mesi successivi Vincenzo subisce una tracheotomia e due interventi ai polmoni, oggi sta fisicamente bene e va ogni giorno a trovare la sua compagna di vita.
Marisa, però, non può abbracciarlo: scopre di aver riportato gravi lesioni alla colonna vertebrale. Lesioni al livello delle vertebre più alte, che le impediscono di controllare quasi l’intero corpo. Non può muovere né le gambe né le braccia. Per i primi tre mesi la nutrono attraverso un sondino gastrico che dal naso arrivava allo stomaco. Grazie alla fisioterapia oggi può deglutire e riesce a sollevare di pochissimo le spalle, questo la aiuta a respirare, con l’ausilio di un respiratore, che si sta allenando a usare sempre meno. “Lo toglie per alcune ore e prova a respirare in maniera autonoma”, dice il figlio Danilo. Che spiega gli enormi progressi, ma le condizioni difficili: “Ha bisogno di assistenza fisica e infermieristica 24 ore su 24. Quando si sveglia, fa colazione e comincia le terapie medicinali, fa gli esami del sangue e i test. Periodicamente, ecografie e lastre. Dopo la terapia farmacologica, ogni giorno ci sono delle ore di fisioterapia: motoria, respiratoria, di deglutizione, di massaggi per tenere morbida la muscolatura”. A mezzogiorno può finalmente vedere i parenti: “Arriviamo noi figli per assisterla durante il pranzo. Da mezzogiorno alla sera mia sorella, mio papà e io cerchiamo di alternarci per essere sempre accanto a lei”. Viviana e Danilo hanno un lavoro e dei figli, hanno chiesto di poter usufruire della Legge 104 e per adesso riescono a conciliare la loro quotidianità con l’assistenza: “Finché nostra madre sarà qui non avremo grosse difficoltà perché è una struttura pubblica e garantisce assistenza qualificata con copertura totale. Funziona molto bene, anche a livello umano”, afferma Danilo. Ma i figli pensano al futuro. Il primo obiettivo è riportare a casa Marisa perché “possa condurre una vita dignitosa“: uscire all’aria aperta in carrozzina, godersi la famiglia e i nipoti, che ancora non sanno cosa le è successo.
Adesso Marisa vive in una camera spaziosa, con le foto dei cari sulle pareti, i pupazzi dei bambini, non è mai da sola e sono in molti a volerle stare accanto. Ma “nel momento in cui non sarà più possibile stare qui – spiega Danilo – quando le sue condizioni saranno considerate insuperabili per la struttura e per la medicina che offre l’ospedale, ce ne andremo”. E dovranno fare i conti con i loro spazi e i loro strumenti. “Ci spaventa non poterle offrire la migliore assistenza come ci spaventa farla vivere in una casa adeguata”. Per il momento, infatti, la famiglia D’Ingeo non ha ricevuto risarcimenti, ma ha sporto denuncia contro ignoti dopo l’incidente: “C’e un’inchiesta in corso e siamo fiduciosi nell’azione della magistratura. Speriamo solo non ci vogliano anni”.
L’appartamento dei coniugi D’Ingeo non è attrezzato per un disabile e ha bisogno di modifiche importanti. Dovrebbero ristrutturare e ampliare diverse parti della casa per renderle agibili. Per questo, la famiglia di Marisa ha lanciato una campagna di raccolta fondi presentata in un servizio de “Le Iene“ su Italia 1 due settimane fa. “Sono arrivate le prime donazioni – dice Danilo – e ci è piaciuto il gesto di molti, e da ovunque”. Anche grazie alla solidarietà ricevuta, Marisa non intende arrendersi. Ha 63 anni e quattro nipotini che la aspettano, è disposta a provare qualunque soluzione la scienza metta a disposizione per muovere anche solo un dito.