Cinema

David Lynch premiato alla Festa di Roma: “Fellini mi disse che era triste perché i giovani stavano perdendo l’amore per il cinema”

Il premio alla carriera è stato consegnato dal regista Paolo Sorrentino. Sala Sinopoli stipata di persone per sentire l'intervista, durante la quale si è parlato di opere e produzioni, ma anche degli incontri che hanno segnato il suo percorso

“E’ un onore per me premiare uno dei più grandi maestri di tutti i tempi, un artista che mi ha fatto capire che conoscere il nostro inconscio è impossibile ed appartiene alla sfera del mito”. Così Paolo Sorrentino ha salutato David Lynch porgendogli il Premio alla Carriera della 12ma Festa del cinema di Roma. Inutile aggiungere che la Sala Sinopoli stipata di persone ha pregiato il geniale cineasta americano di un tributo di vibrante e rarissima emozione.

Senza dubbio era l’ospite più atteso della Festa, e non c’e stato un attimo in cui David Lynch abbia deluso le aspettative, neppure un secondo. Sia durante l’incontro con la stampa che in quello col pubblico, l’immenso artista americano ha sempre risposto alle domande ad occhi chiusi, concentrato, mostrandoci che le parole pronunciate erano sentite, volute, dedicate. La gentilezza, il sorriso mai banalizzato, la generosità di non sottrarsi a nulla, fino all’ultimo autografo richiesto, e nessuna pretesa manifestata agli organizzatori se non un semplice caffellatte durante la conferenza stampa. Antidivo organico con uno stuolo di fan – in attesa sotto la Sala Sinpoli dalle 8 della mattina – totalmente innamorato del suo cinema e della sua idea di mondo.

Lynch non si è sottratto a domande triviali o “scomode” come un commento sul dilagante sexgate hollywoodiano e di un suo futuro benché improbabile coinvolgimento, “perché non si sa mai”: “Stay tuned” (state collegati, ndr) ha ironicamente pronunciato, guadagnandosi applausi e risate. Nel tempo trascorso con stampa prima e pubblico poi, il regista di Twin Peaks ha più volte cercato di spiegare il suo processo creativo, sempre fondato su idee che arrivano “improvvisamente e a frammenti”. “Non si sa da dove arrivano, ma quando giungono le catturo in forma di parole che poi a loro volta diventano qualcosa d’altro”. Lynch, formatosi da pittore, non è integralista rispetto al cinema. Di fatto non realizza più opere per il grande schermo da Inland Empire (2006) ma la cosa – notoriamente – non gli crea alcun problema: “Per me creare per il cinema o la televisione non fa alcuna differenza. Indubbiamente sul grande schermo la qualità di immagine e suono sono migliori ma la bella notizia è che il digitale e l’HD (su cui era tempo fa contrario perché “fa vedere troppo”, ndr) stanno facendo progressi giganteschi. Una volta ero un fanatico della pellicola, perché è oggettivamente bella, organica: oggi non la penso più così perché il digitale sta mettendo a punto una tale sofisticatezza da diventare addirittura migliore in termini di bellezza pura”. Chi conosce Lynch sa bene che il termine bellezza ha un portato semantico del tutto peculiare: “Io amo la fenomenologia organica (infatti mostra fra i suoi quadri preferiti una tela di Francis Bacon, ndr), il concretismo, ma anche ultimamente la pittura infantile, che non è classicamente bella”, altresì sembra contraddirsi ma non lo fa, asserendo di “adorare tutto ciò che è astratto e concettuale”: nella Weltanschauung lynchiana è ben noto che l’inconscio e la dimensione onirica abbiano priorità assoluta (“il perché non lo so, essendo una cosa inconscia..”) e dunque i due aspetti dell’arte e del reale non si contraddicono “le idee sono astratte, le visualizzo nel mio schermo mentale, poi si concretizzano in forme non razionali -anche come parole frammentate -perché governate dall’inconscio e se appartengono al cinema – ma non sempre – cerco di spiegarle alla troupe e al cast in maniera che iniziamo a viaggiare nella stessa direzione tutti insieme”.

Parlando del processo creativo, il grande artista non può prescindere dal raccontare il contributo ormai indispensabile della pratica della meditazione trascendentale. “La meditazione apre quelle porte che stress e negatività chiudono forzatamente. Attraverso la riapertura delle porte riescono poi a passare le idee: vi assicuro, è una sensazione di gioia, vitalità, energia e pace senza confini”.

Accanto ai discorsi sul proprio percorso creativo, Lynch non manca di ricordare le persone che ama o che hanno fatto di lui ciò che è diventato. Dopo aver tributato parole bellissime verso i compianti Harry Dean Stanton (“il miglior comico di sempre, un essere umano puro”) e David Bowie (“l’artista perfetto”) entrambi presenti in Twin Peaks, non ha dimenticato registi magistrali quali Stanley Kubrick (di lui ha scelto sequenze da Lolita), Billy Wilder (Sunset Boulevard, omaggiando il quale si è scelto il nome di Gordon Cole recitando in Twin Peaks) e in particolare Federico Fellini. In questo caso l’emozione è salita alle stelle perché mai Lynch aveva raccontato i dettagli dei loro incontri. Dell’indimenticabile cineasta riminese il collega americano sceglie di mostrare al pubblico una delle sequenze più oniriche tratte da 8 e mezzo e poi racconta la bellissima storia dei loro incontri, premettendo che Fellini è stato uno dei più grandi di tutti i tempi da sempre sua fonte d’ispirazione: “Ci siamo incontrati due volte. La prima in una giornata organizzata da Marcello Mastroianni a Cinecittà mentre stava girando Intervista. Ero con Tonino Delli Colli, suo direttore della fotografia, che poi ho adottato per uno spot che ho girato a Roma. In tale occasione è avvenuto il nostro secondo, emozionante, incontro. Era il 1993, Federico era in ospedale, ho chiesto di visitarlo. La famiglia ha accettato, sono andato con Tonino. Quando l’ho visto nella sua stanza, sulla sedia a rotelle, mi ha preso la mano, abbiamo parlato per mezz’ora su quanto il cinema stava cambiando. Lui era triste perché vedeva che i giovani si stavano disamorando del cinema a causa della tv, e lo stavano dimenticando. Ho lasciato la stanza dicendogli che il mondo intero stava attendendo il suo nuovo film, lui ha fatto un gesto esplicativo sull’impossibilità che ciò avvenisse. Dopo tanti anni ho incontrato il giornalista che stava con lui in ospedale (Vincenzo Mollica, ndr) che mi ha riferito Fellini disse di me ‘David è un bravo ragazzo’. Dopo tre giorni dalla visita è caduto in coma, non uscendone più fino alla morte avvenuta due settimane più tardi”.

La commozione ovvia trasportata da questo racconto non ha comunque fatto perdere a Lynch tanto il sorriso quanto il suo umorismo. Per sua dichiarazione è probabile non ci siano nuovi film all’orizzonte (“non ho nuovi progetti in corso, se non un testo da Kafka ma credo rimarrà parola scritta e non filmata”) né certezze su nuove stagioni di Twin Peaks (“è troppo presto per capire se ne farò”), ma di certo l’uomo generoso, l’artista prolifico e il meditatore creativo David Lynch ha regalato alla Festa del Cinema di Roma alcuni momenti da trattenere nella memoria fra i ricordi più preziosi ed emozionanti da quando questa esiste.