Il film ha chiuso la 12esima edizione della Festa del Cinema di Roma. La pellicola ispirata da una piccola serie tv americana, sembra rimandare al Faust con Valerio Mastandrea nei panni di un sorta di dio-demone che dà speranze ma chiede in cambio di realizzare qualcosa
“Tu credi in Dio?” “Io credo nei dettagli”. Sentenze ad effetto, confessioni serrate, proposte indecenti. The Place, undicesimo lungometraggio firmato da Paolo Genovese, è essenzialmente questo. Benché si dica “folgorato” per ispirazione a una piccola serie tv americana dalla quale la genesi del progetto, è chiaro il regista romano avesse in mente il Faust al di sopra di ogni altro testo. Rimando forse inconscio, sta di fatto che il personaggio di Valerio Mastandrea – protagonista di un cast corale italiano di inedita importanza – possa rappresentare tanto Dio quanto il demonio, mentre seduto a un tavolino di un locale chiamato The Place ascolta quotidianamente alcuni individui e i loro “inesprimibili” desideri. Il suo compito è quello di realizzarli in cambio di un compito da svolgere, una vera sfida alla coscienza. C’è chi vuole essere più bella (Silvia D’Amico), chi vuole veder guarire il proprio figlio (Vinicio Marchioni) e chi del figlio rivuole l’affetto (Marco Giallini), e c’è il non vedente che rivuole la vista (Alessandro Borghi) e la suora che non sente più Dio (Alba Rohrwacher) e via chiedendo: tutti devono pagare un fio, e metter a tacere quel tanto o poco di morale che nutre le loro esistenze.
Molte sono le affinità linguistico-narrative con Perfetti sconosciuti (unità di luogo, coralità, movimenti di macchina ridotti ai minimi termini…), ma a differenza del film superpremiato di due anni fa, “gli sconosciuti non sono i nostri famigliari o vicini, ma siamo noi stessi, il nostro lato oscuro” dichiara Paolo Genovese, forte del successo di una commedia che “mi ha dato la possibilità di fare qualunque cosa, anche avessi proposto di girare la vita di una farfalla..”. Questo fanno i premi, si sa, e per sua fortuna il cineasta ne è consapevole, come è fiducioso del credito ottenuto anche presso il suo pubblico che “almeno nel primo weekend non deluderà”. The Place infatti uscirà giovedì prossimo in ben 500 sale per Medusa ed è facile prevederne il botto al box Office. Benché la parte (centrale su tutti) di Valerio Mastandrea sia dichiaratamente quella di un uomo (“L’uomo” risulta dai credits) e non di un’entità soprannaturale, l’attore romano ne è rimasto profondamente coinvolto: “Ho un ruolo che può capitare a chiunque, ovvero quello di dover ascoltare e aiutare qualcuno. Pertanto mi riguarda e mi ha fatto riflettere esattamente come agisce lo specchio quando ci sta di fronte. Non nascondo che la mia naturale empatia col dolore altrui era una delle chiavi per poter reagire alle varie storie come voleva da me Paolo”.
The Place è il film scelto da Antonio Monda per chiudere la 12ma edizione della Festa del cinema di Roma di cui è direttore da tre anni e lo sarà per il prossimo triennio. In crescita a detta degli organizzatori (+13% di incassi, incremento imponente di copertura mediatica italiana e internazionale) la Festa non è notoriamente competitiva, se non per un unico premio sancito dal pubblico: a vincerlo nell’edizione in chiusura è Borg McEnroe dello svedese Janus Metz Pedersen, incentrato sull’epica finale sul campo (di battaglia..) di Wimbledon nel 1980 fra i due immensi campioni di tennis che danno il titolo al film in uscita il prossimo 9 novembre per Lucky Red.
Successo straordinario anche della sezione autonoma e parallela di Alice nella Città giunta alla sua 15ma edizione, ricchissima di film, ospiti e appuntamenti, e soprattutto complice di quel mondo reale e bisognoso di attenzione estrema rappresentato dagli studenti. Quest’anno, in particolare, ha destato importante riscontro l’iniziativa organizzata con la scuola Liceo Amaldi posta nell’estrema periferia di Roma (Tor Bella Monaca) che ha visto protagoniste alcune classi impegnate a selezionare alcuni dei più significativi film europei degli ultimi anni. I ragazzi sono rimasti folgorati dall’esperienza: forse per loro è stata la vera prima volta a contatto con un cinema diverso, quello fatto di eroi umanissimi e problematici con cui empatizzare.