Per lo Stato italiano sono adottabili, ma più di altri faticano a trovare una famiglia idonea ad accoglierli. Sono i bambini che hanno superato un certo limite di età e si avvicinano all’adolescenza, che hanno problemi comportamentali magari dovuti a traumi o abusi, sono malati o presentano disabilità. Le chiamano “adozioni difficili” e sono quelle che quasi sempre, anche in un Paese come l’Italia che conta ogni anno circa un migliaio di adozioni andate a buon fine, non terminano nell’incontro tra il bimbo e i genitori adottivi. A inizio ottobre ha fatto molto discutere la storia della neonata con sindrome di Down affidata a Napoli a un uomo single dopo che altre famiglie avevano rifiutato, ma è solo un esempio. Come lei ci sono tanti altri bimbi, meno fortunati, che non riescono a trovare una casa. Difficile per gli operatori individuare coppie idonee e compatibili con i minori, difficile per le famiglie dire di sì a situazioni che comportano già in partenza un carico di impegno che sembra inaccettabile a chi sta affrontando il complesso percorso dell’adozione. E sa da una parte pesa la necessità che ad accogliere bambini problematici siano nuclei preparati perché bambini in difficoltà abbiano il giusto supporto, dall’altra manca una rete di sostegno economico che vada incontro a chi fa la scelta di aprire le sue porte di casa.

Poche coppie idonee o disponibili
“In casi come questi – spiega a ilfattoquotidiano.it Marco Chistolini, psicologo e psicoterapeuta responsabile scientifico di Ciai Centro Italiano Aiuti all’Infanzia – la difficoltà è quella di trovare coppie idonee. Chi decide di adottare proviene da un cammino faticoso, sono perlopiù persone che desideravano un figlio biologico e non sono riuscite per vari motivi a diventare genitori. Sono affaticate da quello che hanno vissuto e non è facile che siano disponibili a misurarsi con un’esperienza ancora più impegnativa di quanto già non sia l’adozione”. A preoccupare di più gli aspiranti genitori nelle adozioni nazionali come in quelle internazionali, sono i problemi non reversibili, come appunto una disabilità. Diversamente, la malattia o un disturbo comportamentale che potrebbero guarire o risolversi con il tempo, fanno meno paura, anche se rappresentano sempre un ostacolo. “Alla fine le famiglie che accettano di prendersi cura di un bambino con disabilità o con un problema non reversibile sono quelle che grazie alle proprie caratteristiche individuali e di coppia sono riuscite a coniugare il proprio desiderio di avere un figlio piccolo e sano con la consapevolezza che ci sono bambini che hanno una loro storia e che presentano criticità e bisogni – chiarisce Chistolini – Si arriva così a una visione di equilibrio tra il desiderio autocentrato di avere un figlio e la capacità di far fronte alle necessità del bambino”. Ma non tutti sono in grado di raggiungere questa stabilità. “Non bisogna giudicare però chi dice di no a un figlio con queste problematiche – ammonisce Donata Micucci, presidente di Anfaa associazione nazionale famiglie affidatarie e adottive – La colpa va ricercata anche nelle carenze dello Stato, che non dà sostegno alle famiglie adottive che scelgono di prendere con sé un bimbo con questi bisogni speciali”.

I casi particolari
Nel nostro paese sono circa 300 i minorenni che attendono di essere adottati. Tra questi bimbi in attesa di una famiglia ci sono disabili e altri casi critici di fronte a cui spesso gli aspiranti genitori si scoraggiano. Laddove le coppie si rifiutano però, può subentrare anche un adottante da solo, come nel caso di Napoli. Le norme nazionali che regolano le adozioni e che impongono ai candidati genitori adottivi tutta una serie di condizioni tra cui quella di essere sposati, consentono infatti in alcune situazioni che anche una persona da sola possa diventare padre o madre. E il fatto che il bambino sia disabile è una di queste. L’articolo 44 della legge 184 del 1983 parla di adozione nei “casi particolari” come quello di minori portatori di handicap che siano orfani di entrambi i genitori. Per questi bambini l’adozione è consentita anche alla “persona singola, non coniugata”. Significa che anche i single potrebbero un domani vedersi aperte le porte dell’adozione? “Prima di rispondere bisogna pensare che l’adozione è fatta per garantire al minore il diritto ad avere una famiglia, e per il suo bene si pensa sempre a un nucleo composto da due persone – chiarisce Micucci a ilfattoquotidiano.it – L’adozione è soprattutto nel suo interesse, non deve solo rispondere al desiderio di un adulto di avere un figlio. Questo non vuol dire che le persone sole siano una seconda scelta, ma che per il bimbo, anche per l’impegno e il carico emotivo che costituisce un’adozione, sarebbe preferibile avere due genitori”.

Nel caso di Napoli però il Tribunale ha ritenuto che fosse meglio affidare la neonata a un uomo, anche se solo, che aveva dato la disponibilità ad accogliere un bambino in qualunque condizione, piuttosto che lasciare la piccola senza una famiglia. Sono casi residuali, ma ci sono. “Anche per un bambino con bisogni speciali sarebbero meglio due genitori, ma se l’alternativa reale è una comunità o una casa famiglia perché non si trovano coppie idonee o disponibili – sottolinea Chistolini – si può ricorrere all’affidamento a una persona da sola. Il collocamento presso un singolo genitore va fatto con molta cautela per l’impegno gravoso che comporta un’adozione di questo tipo, ma può garantire un tipo di rapporto che non si può avere altrimenti, per quanto siano valide le strutture e le istituzioni che si occupano dei minori in simili situazioni”.

Le famiglie lasciate sole 
In Italia le domande di adozione sono diverse migliaia in più rispetto ai bambini dichiarati adottabili, eppure, soprattutto in questi casi particolari, non si riescono a trovare famiglie a cui affidare i minori. “Quando una coppia decide di adottare si immagina un bambino piccolo e sano, difficilmente pensa a un minore con problemi di qualsiasi tipo e a volte anche gli operatori, in difficoltà nel reclutare le famiglie, si arrendono subito” continua Micucci. Ma la colpa non è solo dei genitori che non si sentono in grado di affrontare un compito così gravoso. “La verità – chiarisce la presidente di Anfaa – è che manca anche un sostegno economico e un supporto da parte della rete sociale nel percorso post adozione, le famiglie sono lasciate sole”.

In realtà un sistema di sostegno sarebbe previsto dalle norme. L’articolo 6 della legge 184 del 1983 prevede la possibilità da parte dello Stato, delle Regioni e degli enti locali di intervenire con specifiche misure di carattere economico nel caso di adozioni di bambini di età superiore ai 12 anni o portatori di handicap, ma solo compatibilmente con la disponibilità di bilancio. Così, con la scusa che le risorse non sono mai sufficienti, tutto è rimasto come prima. O quasi. In Italia il Piemonte è l’unica regione ad avere deliberato nel 2003 l’obbligo per comuni e enti locali di stanziare risorse economiche dedicate alle famiglie che adottano minori disabili, e a muoversi su questa strada sono stati pochi altri enti a livello nazionale. “Il problema, che vale però per tutte le adozioni, non è solo quello economico – aggiunge Chistolini – ma il tema del supporto alle famiglie nel post adozione, che è un’altra fase molto delicata in cui ci si deve confrontare con la quotidianità, come la scuola”. Inoltre quello che manca, secondo gli operatori del settore, è anche una rete sociale di contorno. “In casi di adozioni di bimbi con problemi è fondamentale l’aiuto da parte delle istituzioni e della società civile. – conclude Micucci – Ma è necessaria anche una sensibilizzazione sull’argomento. Bisogna parlarne nelle scuole, in televisione, far conoscere la situazione in modo da abbattere i pregiudizi”.

Il supporto finanziario poi non è l’unica misura disattesa dal governo. Ai nastri di partenza (o comunque mai arrivato a conclusione) c’è il progetto della Banca dati nazionale per i bambini adottabili e le famiglie che hanno dato disponibilità prevista dalla legge 149 del 2001. Uno strumento che potrebbe far conoscere le situazioni dei minori dichiarati adottabili e non adottati, in modo da intraprendere in modo più efficiente la ricerca delle famiglie a livello nazionale e ridurre i tempi di attesa. Dopo tanti anni però, il sistema non è ancora operativo.

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