La storia è piena di lavoratori che scappano da un’azienda insoddisfatti e pieni di astio. Molti di questi sognano per anni l’ultimo giorno di lavoro, quel giorno in cui rifarsi contro le avversità della vita con un gesto epico, un gran finale. Per un impiegato di Twitter quell’ultimo giorno è arrivato il 2 novembre del 2017 e il gesto epico è stato disattivare l’account Twitter del capo. Cioè il capo degli Stati Uniti d’America, Donald Trump.
Alle ore 01:05 AM del 3 novembre, ora italiana, l’account Twitter Government comunicava in un tweet che la disattivazione di @realDonaldTrump fosse dipesa da un errore umano.
Earlier today @realdonaldtrump’s account was inadvertently deactivated due to human error by a Twitter employee. The account was down for 11 minutes, and has since been restored. We are continuing to investigate and are taking steps to prevent this from happening again.
— Twitter Government (@TwitterGov) 3 novembre 2017
Alle ore 03:00 AM lo stesso account tornava sui suoi passi e specificava che a seguito delle investigazioni interne non si fosse trattato di un errore umano. A disattivare l’account del Presidente degli Stati Uniti era infatti stato un impiegato del Customer Care di Twitter. In modo del tutto volontario, e al suo ultimo giorno di lavoro.
Through our investigation we have learned that this was done by a Twitter customer support employee who did this on the employee’s last day. We are conducting a full internal review. https://t.co/mlarOgiaRF
— Twitter Government (@TwitterGov) 3 novembre 2017
La reazione degli utenti su Twitter è stata prevedibilmente pittoresca. I sostenitori di Trump hanno puntato il dito contro la doppia morale dei democratici, che da un lato invocherebbero la libertà di parola e dall’altra esulterebbero verso la censura ai cinguettii del Presidente. Gli oppositori di Trump hanno invece abbracciato l’azione dell’ex impiegato di Twitter, armandosi di ironia e pretendendo che fosse riassunto con aumento di stipendio.
Casey Newton è il riferimento in Silicon Valley per la celebre rivista The Verge. Come tanti giornalisti di tecnologia basati negli Stati Uniti ha contatti diretti con i piani alti e bassi di tutte le principali tech company californiane. Le sue fonti personali gli hanno riferito gli ex colleghi dell’impiegato Twitter si riferiscono ora a lui come the legend, la leggenda.
I have a quote from the ex-Twitter employee group I would like to share: “We’re now referring to this individual as ‘the legend’, lol”
— Casey Newton (@CaseyNewton) 3 novembre 2017
Circa 12 ore dopo la disattivazione del suo account Donald Trump ha twittato reagendo pubblicamente allo spiacevole incidente. Ha definito ‘furfante‘ l’impiegato di Twitter e attribuito la causa di questo gesto al fatto che il mondo americano stia reagendo all’impatto del suo messaggio politico.
My Twitter account was taken down for 11 minutes by a rogue employee. I guess the word must finally be getting out-and having an impact.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 3 novembre 2017
Twitter ha rappresentato uno degli strumenti principali di propaganda elettorale di Donald Trump nelle elezioni che lo hanno visto uscire vincitore contro Hillary Clinton. Non stupisce che 11 soli minuti di disattivazione dell’account abbiano suscitato così tanto clamore tra politici, giornalisti e semplici cittadini. Trump ha da sempre infatti utilizzato Twitter in modo chirurgico per bypassare i media tradizionali e comunicare alle masse con testi brevi e tematiche dirompenti.
In campagna elettorale Donald Trump, guidato dal 29enne Digital Strategist Justin McConney, sapeva bene che ogni messaggio politicamente rumoroso sarebbe stato divorato dalla macchina giornalistica e dato in pasto ai lettori come notizia del giorno. Quello che i media tradizionali non potevano sapere era che regalare un megafono alle sue quotidiane pillole di follia avrebbe portato vantaggio alla propaganda di Trump, prima ancora che al bene dell’informazione.
Mentre Jeb Bush dilapidava 28,9 milioni di dollari in spot televisivi – banali, costosi e ingabbiati nella finestra temporale dei 30 secondi – Donald Trump raggiungeva gli occhi e le orecchie degli elettori in modo del tutto gratuito.
Merito della copertura garantita da giornali e televisioni ai suoi tweet, che gli hanno assicurato – e ancora oggi gli assicurano – un’esposizione mediatica ben superiore ai milioni di follower che già detiene su Twitter. Per ogni persona che si indignava dinnanzi ai 140 caratteri di Trump, ripresi tanto da Buzzfeed quanto dalla CBS, ce ne era una pronta a sposare il suo messaggio pregno di frustrazione e intolleranza – in quanto delusa dall’amministrazione Obama e in attesa di un’alternativa dirompente.
Twitter ha rappresentato lo strumento di comunicazione principale di Donald Trump anche per un altro motivo che forse pochi ricorderanno. È la piattaforma in cui l’allora wannabe Presidente degli Stati Uniti interagiva uno-a-uno con oppositori e sostenitori. Dalle 6 PM fino a tarda notte Donald Trump gestiva personalmente il suo profilo Twitter, lasciandosi trasportare dal momento e regalando a semplici cittadini la sensazione, reale, di comunicare con una delle persone più potenti del mondo.
Grazie ai tweet e alle dirette live su Periscope, Donald Trump è stato il primo politico della storia a mostrare che interagire in modo strategico con singoli cittadini, specie se in una piazza pubblica, può avere lo stesso ritorno dell’investimento di una stretta di mano, o della propaganda porta-a-porta. La differenza è che Twitter ha reso scalabile una comunicazione di tipo uno-a-uno che, nella realtà fisica, sarebbe stata semplicemente impossibile.
Cosa hanno rappresentato questi 11 minuti di blackout? Poco nella storia dell’umanità, tanto nella storia di Donald Trump. Infatti, nonostante le antipatie del Customer Care, il Presidente degli Stati Uniti continuerà a propagandare il suo verbo su Twitter. E il mondo, nel frattempo, continuerà a credere che sia tutto uno scherzo. Perché alla fine 140 caratteri non sono poi così importanti, giusto?