Palazzo d’Orleans, sede del governatore

In mezzo a tutte queste note negative, almeno qualche buona notizia il nuovo inquilino di Palazzo d’Orleans potrebbe trovarla. Dal suo insediamento troverà sulla sua scrivania un assegno da 17,6 miliardi di euro: in pratica, come faceva notare Il Sole 24 Ore 3.491 euro per ognuno dei siciliani, neonati compresi. Si tratta della dotazione complessiva dell’ultimo ciclo settennale di fondi comunitari (2014-2020) per la promozione e sostegno dello sviluppo socioeconomico. È l’ultima occasione, l’ultimo maxi aiuto che l’Europa eroga all’isola per cercare di avvicinarla ai livelli delle altre zone del Continente. Come siano andate le precedenti puntate è cosa nota: basta ricordare che tra il 1994 e il 2020 sono stati assegnati al mondo produttivo fondi per oltre 30 miliardi di euro, agricoltura a parte. Quanto vale oggi l’export siciliano? Sette miliardi, ma il 60% è rappresentato dai prodotti petroliferi degli stabilimenti di Gela, Augusta e Priolo: non esattamente un settore che vive di fondi targati Bruxelles.  “Si può ritenere come l’utilizzazione dei fondi strutturali non abbia avuto quell’effetto propulsivo e moltiplicativo, tipico degli investimenti pubblici, ma soltanto un effetto sostitutivo e tampone rispetto alle conseguenze della crisi”, annota quindi la solita corte dei conti.

Secondo i magistrati contabili, l’unico spiraglio di salvezza per l’isola è rappresentato proprio dall’ultimo settenato dei fondi provenienti dall’Ue. “Un’efficiente gestione dei fondi europei rappresenterebbe, in effetti, l’unica vera risorsa per colmare il grave gap esistente tra la Sicilia con le altre regioni italiane e con gli altri paesi europei che, malgrado la profusione di ingenti risorse, alla fine del quarto ciclo di programmazione comunitaria, non risulta colmato, dal momento che l’Isola si trova ancora all’ultimo posto delle regioni facenti parte dell’obiettivo convergenza”, si legge nella relazione del rendiconto generale. Dove i magistrati forniscono una sorta di “lista della spesa” al futuro governo: “Formazione professionale, infrastrutture, turismo, ricerca e innovazione, efficientamento energetico, sviluppo sostenibile e agricoltura sono gli ambiti attraverso i quali la spesa dei fondi strutturali europei potrebbe e dovrebbe creare una maggiore competitività del tessuto produttivo regionale e, così, favorire il consolidamento di una crescita economica che, invece, ancora stenta a decollare e superare il differenziale di sviluppo rispetto alle altre regioni italiane ed europee”.

Uno pensa: con questa situazione, i governanti dell’isola avranno investito per potenziare gli uffici regionali che si occupano di fondi europei. D’altra parte sarebbe bastato individuare i dipendenti più bravi tra le decine di migliaia stipendiati ogni mese da Mamma Regione e spostarli negli uffici che si occupano di aiuti provenienti da Bruxelles. E invece ovviamente non è andata così: “La sostituzione di figure chiave per la gestione della macchina amministrativa regionale e della spesa comunitaria, a causa dei recenti e prossimi pensionamenti, non bilanciata da un adeguato ricambio generazionale, sta creando un complessivo depotenziamento delle strutture di tutte le Amministrazioni centrali preposte all’attuazione e al controllo”. La salvezza sono i fondi europei? Smantelliamo gli uffici che se ne occupano: solo uno dei tanti paradossi nell’isola del Gattopardo. 

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