“Il provvedimento che abbiamo approvato in via preliminare non restringe la possibilità dei magistrati di utilizzare le intercettazioni, non interviene sulla libertà di stampa e sul diritto di cronaca, interviene solo su come vengono selezionate le intercettazioni”. Parola del ministro della Giustizia Andrea Orlando. Solo tre giorni fa. Oggi la Repubblica invece scrive perché i cronisti rischiano fino a tre anni di carcere nel caso di pubblicazione delle intercettazioni, che considerate irrilevanti, finiscono nell’archivio a disposizione delle parti. All’articolo 3 del decreto al comma 5 dell’articolo 268-quater spunta la trappola: “Gli atti e i verbali relativi a comunicazioni e conversazioni non acquisite sono immediatamente restituiti al pubblico ministero per la conservazione nell’archivio riservato … sono coperti da segreto…”. Eccola la parolina magica: “segreto” per conversazioni irrilevanti penalmente, ma che invece possono essere di pubblico interesse. L’eventuale pubblicazione di queste intercettazioni potrà essere perseguita con il reato di rivelazione di segreto d’ufficio in concorso con il pubblico ufficiale già usato per intimidire i cronisti. Anche perché come fanno notare da giorni sindacato e ordine dei giornalisti è assente il diritto a pubblicare ogni notizia rilevante.
Il decreto presenta anche altri ostacoli alla libertà di stampa: “Le critiche sollevate da magistrati, avvocati, giuristi e associazioni dei giornalisti dovrebbero indurre il governo a rivedere la proposta sulle intercettazioni e il Parlamento a sollecitare radicali modifiche – scrivono in una nota Federazione nazionale della Stampa italiana e Ordine dei giornalisti – Sulla cosiddetta essenzialità rischia di innescarsi un grave conflitto con pesanti ripercussioni sullo stesso diritto di cronaca e sul diritto dei cittadini ad essere informati su questioni essenziali come la conoscenza di vicende di mafia, corruzione e malaffare”.
Nel testo, fanno notare, “non casualmente, manca per l’ennesima volta il riconoscimento del diritto di pubblicare ogni notizia che abbia il requisito del pubblico interesse e della rilevanza sociale, a prescindere dalla rilevanza penale, così come stabilito in diverse occasioni dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il governo finge di ignorare che non tutto ciò ha rilevanza per l’opinione pubblica deve avere necessariamente rilevanza penale”. Per questo, aggiungono Fnsi e Odg, “va salvaguardato il diritto dei giornalisti di pubblicare le notizie, anche se coperte da segreto o senza alcuna rilevanza penale, che possano contribuire a rendere l’opinione pubblica informata”. Per questa ragione, “oltre a sollecitare le opportune modifiche, Federazione nazionale della stampa italiana e Ordine dei giornalisti saranno al fianco dei colleghi che dovessero essere denunciati, o subire qualsiasi forma di censura, per aver deciso di rispettare gli obblighi deontologici ed il dovere di informare. La nostra critica al testo approvato dal governo è ulteriormente rafforzata dall’assenza di una qualsiasi iniziativa tesa a contrastare le cosiddette querele bavaglio, diventate il vero strumento di aggressione e minaccia contro i cronisti che tentano di illuminare i territori occupati da mafie e malaffare”.
Di fronte a questo quadro, prosegue la nota, “la Federazione nazionale della Stampa italiana e l’Ordine nazionale dei giornalisti promuoveranno riunioni congiunte degli esecutivi, predisponendo un calendario di iniziative che coinvolgeranno tutte le strutture regionali e nazionali. Non è più possibile accettare che si trovino tempi e maggioranze in Parlamento quando si tratta di dare una stretta sulle intercettazioni e non si trovi mai la volontà politica per cancellare il carcere per i giornalisti e per dare una stretta a chi insidia il diritto di cronaca e l’articolo 21 della Costituzione”.