Vincenzo Campitelli, 37 anni, è professore associato e Console onorario d'Italia presso la città portuale di Busan. "In Italia i miei colleghi sono costretti ad affrontare ogni giorno mancanze di rispetto, mentre qui in Corea la figura dell'insegnante gode di enorme prestigio"
Controllori del treno che si inchinano alla fine e all’inizio di ogni vagone. Riunioni di lavoro che, quasi obbligatoriamente, finiscono al karaoke. Viaggiatori seduti in metropolitana che chiedono a chi sta facendo il viaggio in piedi di dare loro la borsa per tenerla sulle gambe. “La Corea del Sud è un universo alieno agli occhi di un europeo”, racconta Vincenzo Campitelli, professore associato e Console onorario d’Italia presso la città portuale di Busan. Eppure il 37enne di Roma è arrivato in Corea 11 anni fa e non sembra intenzionato a rientrare a casa. “In Italia non avrei opportunità concrete, al massimo potrei tornarci quando sarò in pensione”. Forse pensavano lo stesso i suoi professori della Sapienza che, ai tempi della sua laurea in Lettere, gli avevano sconsigliato di entrare nel mondo universitario italiano. “Mi avevano confessato quanto la carriera accademica in Italia fosse sinonimo di precariato a vita”. Così il neolaureato col sogno dell’insegnamento, sicuro del suo contratto “invidiabile e stabile” al Comune di Roma come operatore turistico, aveva iniziato a candidarsi come insegnante d’italiano in diverse università estere.
Caso ha voluto che l’Università di lingue straniere di Busan, seconda città per importanza della Corea del Sud dopo la capitale Seoul, avesse urgentemente bisogno di un lettore italiano madrelingua. “Mi chiedevano di abbandonare la città in cui ero nato e un contratto a tempo indeterminato nel settore pubblico per andare a giocarmela in un Paese che per lingua e cultura è l’opposto dell’Italia. E io scelsi di compiere il passo”. Dodici mesi per mettersi alla prova, questa era la durata del primo contratto, per una carriera che in 11 anni l’ha portato a diventare professore associato.
“Avrei voluto investire il mio futuro in Italia – ricorda Vincenzo mentre ripercorre i suoi anni di studio alla Sapienza –. È dura vedere come le istituzioni restino impassibili davanti a una simile fuga di giovani talenti lasciati in balia del precariato mentre mi fa rabbia vedere come negli ultimi anni molti giovani puntino direttamente all’emigrazione senza nemmeno cercare lavoro in Italia”. Deve fare un certo effetto, infatti, ricevere proposte di lavoro da Venezuela, Argentina e Cina, e non potere – invece – pensare seriamente di rientrare in Italia per mancanza di opportunità. “Fortunato a lavorare all’estero? La risposta è ovviamente affermativa anche se lo dico con il dolore nel cuore”. E mentre l’Italia diventa sempre più un miraggio, la carriera dell’insegnante romano in Corea del Sud procede, con l’aggiunta della cattedra di latino e il ricevimento per sei volte in 11 anni del titolo di miglior docente straniero della sua università. “Una scalata incredibile se penso ai tanti colleghi, pur validissimi e con titoli alle spalle, che lottano contro l’incertezza che ormai è padrona del mondo accademico italiano”.
Immergersi in una cultura “così profondamente gerarchizzata” come la Corea del Sud – dove perfino il modo di versare da bere ai commensali dipende dal loro rango sociale – può portare un insegnante a stupirsi del rispetto che gli viene portato. “In Italia i miei colleghi sono costretti ad affrontare ogni giorno mancanze di rispetto, mentre qui in Corea la figura dell’insegnante gode di enorme prestigio”. Ma immergersi nella forma mentis coreana significa anche rivalutare l’orario lavorativo italiano, visto che in Corea del Sud “il modo d’interpretare la vita lavorativa è molto diverso rispetto all’Europa”. Per esempio, non è strano che Vincenzo, al termine della giornata lavorativa, debba uscire con i suoi colleghi per discutere di lavoro – magari cenando in un “ristorante da shock igienico” per la tradizione di togliere le scarpe a tavola – senza potere poi rifiutare di concludere la serata in un karaoke.
Ma non sono solo queste le particolarità di un paese che continua a stupirlo. “In banca, mentre sei in coda, gli operatori ti offrono un caffè e si scusano per l’attesa mentre se ordini una pizza ti regalano una bottiglia di bibita gasata per ringraziarti dell’acquisto”. E mentre secondo Vincenzo le tensioni di una vicina “imprevedibile” come la Corea del Nord non hanno alcuna conseguenza nella vita di tutti i giorni, la presenza italiana in Corea è in aumento “anche se distante rispetto a quella delle grandi colonie di Stati Uniti, Russia, Giappone e Cina”.
Tanto che Vincenzo consiglia a chiunque di provare a trasferirsi in Corea del Sud, non solo per una fase di passaggio ma per costruire un progetto di vita. “Le opportunità non mancano e sempre più aziende italiane aprono qui le loro filiali”, per uno stile di vita che, per quanto lo riguarda, “non permettere di girare in Ferrari ma certamente di vivere bene, togliendosi qualche soddisfazione”, che per l’insegnante italiano significa anche allargare la sua collezione di Subbuteo, di cui il 37enne romano è il primo collezionista d’Asia di squadre originali. Ecco, forse a questo proposito Vincenzo paga pegno di essersi trasferito in Corea del Sud: essere diventato “un giocatore di Subbuteo solitario”.