Calcio

Napoli, Sarri vittima del suo genio: per lo scudetto serve una gestione vincente

FATTO FOOTBALL CLUB - Il tecnico ha costruito una macchina perfetta, che però sente di poter far andare al massimo solo con i soliti, stessi ingranaggi. Il Napoli non cambia mai, a livello di modulo (4-3-3 dogmatico) ma soprattutto di uomini

Ci siamo: il primo passo falso dello stratosferico inizio di stagione del Napoli è arrivato. Non lo era stato il pareggio casalingo contro l’Inter di Spalletti, in una sfida d’alta classifica giocata alla pari fra due grandi squadre. Quello a reti bianche col Chievo Verona, invece, lo è eccome, con la Juventus di nuovo a un passo nonostante l’avvio balbettante. E la colpa è di Maurizio Sarri. Il genio della panchina che ha trasformato gli azzurri in una delle 3-4 squadre più belle d’Europa, rivoluzionando il calcio italiano come non accadeva dai tempi di Arrigo Sacchi. Che però è vittima di se stesso.

È una provocazione, certo, ma non un’eresia, dire che la grandezza di Sarri si sta un po’ confermando anche il suo principale limite. A Verona il Napoli è apparso la copia sbiadita di se stesso: le solite trame, ma una frazione di secondo più lente; le stesse giocate, con un filo di qualità in meno. La differenza che passa fra un gol all’incrocio dei pali e un’ottima parata del portiere avversario (Sorrentino ne ha fatte molte, ad onor del vero). Uno 0-0 scialbo (non a caso lo stesso risultato maturato contro l’Inter) frutto di una giornata storta e tanta stanchezza che toglie lucidità e brillantezza.

Ovvio, fisiologico, naturale: dopo otto partite in un mese (una media di due alla settimana, praticamente) e le fatiche di Champions League, il Napoli potrà pur essere stanco. Insigne ha fatto il fenomeno mercoledì e ieri ha tirato il fiato, Mertens stringe i denti da un mese (e i risultati si vedono), Callejon ha finito la benzina. Mettiamoci pure Allan, sempre presente in tutti i 18 match stagionali (Koulibaly è a quota 17), e si capisce bene da dove viene il mezzo passo falso del Bentegodi.

In tutto questo, però, non c’è nulla di straordinario: sono i ritmi del calcio moderno, che ti obbliga a giocare ogni tre giorni. E qui nascono le responsabilità. Della sfortuna, innanzitutto: il Napoli ha perso prima Milik (riserva di lusso per l’attacco, avrebbe dato cambi preziosi a Insigne e Mertens), poi anche Ghoulam, ormai uno dei migliori interpreti al mondo nel suo ruolo; non è facile non pagare due assenze del genere,  alla Juventus, invece, mai un infortunio. Quindi della società: si potrebbe dire che la rosa è troppo corta per affrontare al meglio le tre competizioni, e di sicuro manca un ricambio sugli esterni (ma gli azzurri sono tra i pochi in Serie A ad avere praticamente un’alternativa per ruolo). E così arriviamo a Sarri.

Il tecnico ha costruito una macchina perfetta, che però sente di poter far andare al massimo solo con i soliti, stessi ingranaggi. Il Napoli non cambia mai, a livello di modulo (4-3-3 dogmatico) ma soprattutto di uomini: gioca da agosto con 13-14 giocatori, a volte non sfrutta nemmeno tutte e tre le sostituzioni a partita. Ma così non si arriva al traguardo. Se mancano le alternative, è anche perché Sarri non ha mai coinvolto nel progetto giocatori validissimi che altrove sarebbero titolari: Giaccherini ha fatto un grande Europeo ma ha totalizzato appena 20 presenze (poco più di apparizioni) in due stagioni con la maglia azzurra; Maksimovic è costato circa 25 milioni di euro per rimbalzare tra panchina e tribuna, Rog è ancora un oggetto misterioso, Mario Rui (voluto da Sarri quest’estate) non ha mai giocato e ora che serve è visibilmente impreparato.

Eccoli i limiti del genio di Sarri: l’incapacità di smussare gli angoli della sua perfezione. Che senso ha far giocare 90 minuti a Mertens contro il Benevento e vincere 6-0, per poi ritrovarselo a mezzo servizio nelle sfide decisive contro Inter e Manchester City? Il Napoli quest’anno ha già fatto un salto di qualità, acquisendo la mentalità e la concretezza delle dominatrici. Adesso manca quello definitivo, per la squadra e per il suo allenatore: accontentarsi di essere magari meno belli, faticare con i rincalzi contro l’ultima in classifica per essere al top tutto l’anno. Come la Juventus di Allegri. Altrimenti alla lunga la stanchezza avrà la meglio e i bianconeri prenderanno come sempre il sopravvento. Se non cambia (in tutti i sensi) Sarri non vincerà lo scudetto. Il dubbio è che non vincerà mai nulla.

Twitter: @lVendemiale