L'ucraino Juty Kharytonov era scomparso nella notte tra il 19 e il 20 ottobre durante il suo turno al timone. Fermati due ufficiali di macchina: tracce di sangue sul cargo e sulla divisa di uno dei due indagati. E dalla scatola nera spunta la registrazione di un litigio in plancia
Era scomparso dalla sua nave poco prima di approdare nel porto di Genova, lo scorso 21 ottobre. Il comandante Juty Kharytonov – aveva raccontato i marinai – aveva fatto perdere le sue tracce mentre il cargo Giannina, di proprietà della Msc, navigava a largo di Salerno. Nessuna apparente spiegazione, nemmeno un biglietto d’addio. Una caduta accidentale in mare, oppure un suicidio. Un mistero.
Almeno nelle prime due settimane dalla sua scomparsa. Perché adesso la procura di Genova si è convinta che l’ucraino, 54 anni, sia stato ucciso durante il suo turno al timone nella nottata tra il 19 e il 20 ottobre. Del resto, lo hanno confermato anche la moglie e il figlio, Kharytonov “non aveva motivo di togliersi la vita” ed “era felice di tornare a casa”. E la famiglia ha detto chiaramente anche che “un uomo della sua esperienza non sarebbe mai caduto” fuori bordo. “Lo hanno ucciso”, hanno detto chiaramente.
Lo pensa anche il procuratore Marcello Maresca dopo gli accertamenti della squadra mobile di Genova. Sotto indagine per omicidio sono finiti Dmytro Savinykh e Oleksander Maltsev, due ufficiali di macchina, entrambi ucraini come il comandante. Nessun traffico strano a bordo del cargo (ipotesi valutata in un primo momento) ma un litigio violento, violentissimo, scoppiato per motivi disciplinari e sfociato nell’omicidio, con il cadavere poi gettato nelle acque del Tirreno.
Alla base dell’iscrizione nel registro degli indagati ci sono gli interrogatori dei due marinai e la prova del luminol, che ha permesso di rilevare sangue in diverse aree del cargo – sequestrato all’arrivo nel porto di Genova – tra le quali il pontile. Tracce ematiche sono comparse anche sulla divisa di uno dei due indagati. E a inchiodare alle proprie responsabilità i marinai ci sarebbe anche la registrazione contenuta nella scatola nera della portacontainer. Il comandante si sarebbe arrabbiato per due avarie al motore e sarebbe quindi sceso in sala macchina. Qui inizia la discussione, sfociata in lite sul ponte, dove si sarebbe consumato l’omicidio. Manca l’arma, ma la procura è convinta: ha ragione la famiglia di Kharytonov, è stato un omicidio.