Il prefetto della Congregazione delle cause dei santi è stato autorizzato a emanare il decreto che riconosce le virtù eroiche di Albino Luciani, il cui pontificato durò appena 33 giorni. Grazie alla causa di canonizzazione risolto anche il mistero attorno alla sua morte
Via libera alla beatificazione di Giovanni Paolo I. Lo ha deciso Papa Francesco che ha autorizzato il prefetto della Congregazione delle cause dei santi, il cardinale Angelo Amato, a emanare il decreto che riconosce le virtù eroiche di Albino Luciani. Un passaggio obbligato per beatificare il Pontefice veneto che guidò la Chiesa di Roma soltanto per trentatré giorni. La decisione di Bergoglio è arrivata dopo il voto positivo della plenaria dei cardinali e vescovi membri del dicastero vaticano che si occupa delle beatificazioni e delle canonizzazioni. Ora Luciani potrà essere proclamato beato. A Francesco toccherà decidere se procedere direttamente con il riconoscimento della santità del suo predecessore oppure se seguire l’iter canonico che prevede l’approvazione di un miracolo attribuito a Giovanni Paolo I.
Proprio il processo per la beatificazione di Luciani è riuscito finalmente a consegnare alla storia la verità sulla sua morte, da sempre avvolta da fitti misteri e dal sospetto di un omicidio camuffato da decesso naturale per “infarto miocardico acuto”, come dichiarato fin dal primo momento dal Vaticano. La soluzione di un giallo durato quasi quarant’anni è contenuta nel volume “Papa Luciani. Cronaca di una morte”, edito da Piemme, scritto dalla vaticanista Stefania Falasca, editorialista di Avvenire e vicepostulatrice della causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo I.
Il libro, infatti, ripercorre in modo rigoroso quanto è emerso durante il processo per la santità di Luciani ed è impreziosito da un’ampia sezione nella quale vengono riprodotti i documenti più interessanti sulle ultime ore di vita del Pontefice veneto. Tra questi c’è anche la testimonianza di Benedetto XVI che rappresenta un’assoluta novità storica perché mai prima di oggi un Papa si era espresso sulla santità di un suo predecessore durante la causa di canonizzazione. Un giallo, quello della morte di Luciani, risolto grazie allo studio accurato di tutti i documenti che attestano cosa successe davvero alle prime luci dell’alba del 29 settembre 1978 quando Giovanni Paolo I fu trovato privo di vita nel suo letto.
“Verso le 5.10 di quel mattino, come ogni mattino – racconta suor Margherita Marin, l’unica superstite delle quattro religiose che curavano l’appartamento di Luciani – suor Vincenza aveva lasciato una tazzina di caffè per il Santo Padre in sagrestia subito fuori dell’appartamento del Papa, davanti alla cappellina. Il Santo Padre uscendo dalla sua stanza era solito prendere il caffè in sagrestia prima di entrare nella cappella a pregare. Quella mattina però il caffè rimase lì. Passati circa dieci minuti, suor Vincenza disse: ‘Non è ancora uscito? Ma come mai?’. Io ero lì in corridoio. Così ho visto che ha bussato una volta, ha bussato di nuovo, non ha risposto… ancora silenzio, allora ha aperto la porta e poi è entrata. Io ero lì e mentre lei entrava rimasi fuori. Sentii che disse: ‘Santità, lei non dovrebbe fare di questi scherzi con me’. Poi mi chiamò uscendo scioccata, entrai allora subito anch’io insieme a lei e lo vidi. Il Santo Padre era nel suo letto, la luce per leggere sopra la spalliera accesa. Stava con i suoi due cuscini dietro la schiena che lo tenevano un po’ sollevato, le gambe distese, le braccia sopra le lenzuola, in pigiama, e tra le mani, appoggiate sul petto, stringeva alcuni fogli dattiloscritti, la testa era girata un po’ verso destra con un leggero sorriso, gli occhiali messi sul naso, gli occhi semichiusi… sembrava proprio che dormisse. Toccai le sue mani, erano fredde, vidi e mi colpirono le unghie un po’ scure”.
La sera prima, durante la cena con i due segretari, il Papa era stato colpito da un lieve malore, alcune fitte al petto, che però fu sottovalutato e non fu chiamato il medico di turno in Vaticano. Ad alimentare ulteriori sospetti sulla morte di Luciani è stata anche la decisione, presa all’epoca dal Vaticano, di non rivelare che il cadavere di Giovanni Paolo I era stato trovato da due donne. “Il padre Magee – afferma ancora suor Margherita Marin – ci disse di non dire che eravamo state noi suore, io e suor Vincenza, a trovarlo morto nella camera, perché avevano deciso di dire che erano stati i segretari a trovarlo per primi”.
“La sua repentina e inaspettata scomparsa, dopo un pontificato di poco più di un mese, – scrive il cardinale Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin nella prefazione al libro della Falasca – ha dato il via, lungo i decenni che ci separano da quel settembre 1978, a una miriade di teorie, sospetti, supposizioni. Era morto troppo presto e troppo in fretta, dopo l’attesa ventata di genuina novità evangelica portata con la sua umiltà”. “Finalmente – sottolinea ancora il porporato – abbiamo una ricostruzione effettuata secondo una modalità di ricerca storica rigorosa, sulla base di una documentazione d’eccezione, fino a oggi inedita”.
Tra l’altro è la prima volta in assoluto che il Segretario di Stato firma la prefazione di un libro all’interno del quale sono pubblicati documenti riservati della Santa Sede e ciò proprio a indicare la volontà del Vaticano di consegnare alla storia la verità sulla morte di Luciani. Non si tratta, però, di riscrivere le ultime ore di vita di Giovanni Paolo I per dare un romantico lieto fine alla sua esistenza terrena in vista della beatificazione. Nel volume della Falasca, infatti, non vengono omessi particolari inediti anche molto imbarazzanti per la Santa Sede che consentono all’autrice un durissimo atto di accusa sulla gestione di quella vicenda da parte del Vaticano.
“La morte repentina non ne ha decretato la morte. Luciani non fu ucciso. È stato ucciso post mortem dal silenzio di quanti, fuori e dentro le mura vaticane, non hanno potuto trarre vantaggi personali in termini di onori mondani dal suo fugace passaggio, dalla sua limpida e scarna testimonianza evangelica – scrive la vaticanista – È stato ucciso post mortem dal sussiego di un oblio storico e storiografico perché sfuggente ai compartimenti stagni degli incasellamenti e ai ritorni d’interesse dei riscontri in chiave ideologica di quanti allora, come ancora oggi, confrontano gesti e parole con la tabella dei valori stabiliti dalle agende liberal o conservative. È stato ucciso post mortem dall’avido accredito alle pièce teatrali di certa fumettistica noir che ha speculato abilmente sull’immaginario accattivante di una morte violenta relegandolo a una damnatio memoriae”.
Twitter: @FrancescoGrana